Giorgio Faletti, una vita a mille all’ora
Ritratti Muore a 63 l'artista astigiano. Attore in tv e al cinema, autore di canzoni per Mina e Milva e poi scrittore di autentici best seller
Ritratti Muore a 63 l'artista astigiano. Attore in tv e al cinema, autore di canzoni per Mina e Milva e poi scrittore di autentici best seller
L’ importante non è quello che trovi alla fine di una corsa. L’importante è quello che provi mentre corri». La frase si trova nel sito ufficiale di Giorgio Faletti (giorgiofaletti.it) come cappello alla sezione cinema. Una bella sintesi per chi ha finito la corsa a 63 anni, colpa di un maledetto tumore, ma ha davvero provato di tutto nella sua corsa inarrestabile attraverso la vita. Perché Giorgio Faletti si può declinare in tanti modi diversi, tutti importanti. Le biografie lo danno come astigiano, laureato in giurisprudenza, ma la sua prima vera laurea è milanese è viene dal cabaret. Da quella scuola frequentata da Teo Teocoli, Massimo Boldi, Diego Abatantuono, tutti figli illegittimi di Enzo Jannacci e Cochi e Renato, quindi nipoti di nonno Dario.
Giorgio rema e inventa, quando poi arriva a Drive in esplode come Vito Catozzo all’insegna di ’Porco il mondo che ciò sotto i piedi’, tormentone fantastico e titolo di un primo libro, comico. Spassoso, divertente, divertito, capace di stare sul palcoscenico quanto di essere fantastico davanti alle telecamere, Giorgio dietro le quinte coltiva la sua passione privata: i nativi d’America. Studia, si documenta, è talmente esperto da divenire davvero uno storico della questione, ma la sua storia e la sua vita sono altro: lo spettacolo. Solo che a Giorgio sta un po’ stretta l’etichetta di comico, non che la disdegni, per carità, ma è un po’ una camicia di forza. E allora comincia a fare escursioni in un territorio diverso ma contiguo: la musica.
Scrive brani per tanti (basti citare Mina, un intero album per Milva, Branduardi e tanti altri) partecipa anche a Sanremo in prima persona, e nel 1994 spiazza tutti con Signor tenente un brano durissimo dedicato agli agenti morti ammazzati nelle stragi di Capaci e via D’Amelio. E il fatto sconvolgente è che rischia di vincere il festival, deve accontentarsi del riconoscimento dei giornalisti, il premio della critica, e di vendite travolgenti. Il festival viene vinto, per un nonnulla su Faletti, da Aleandro Baldi tra i big mentre Andrea Bocelli si impone tra gli emergenti, entrambi non vedenti, in un’edizione in cui debuttava anche una giovane e sconosciuta Giorgia. Il momento musicale prosegue trionfale per qualche anno, ma è già in agguato una nuova svolta.
È il 2002 quando viene pubblicato il romanzo Io uccido, quasi 700 pagine firmate da Giorgio Faletti. Sono in molti a nutrire perplessità. Ecchesaramai? Cabarettista, musicista, ora anche scrittore? Sì. Ma non è la furbatina, pubblichiamo un libro di uno che ha già un nome sperando di intortare qualcuno. No. Il libro vende quattro milioni di copie.
Ci sono echi di un’altra grande passione di Giorgio, le corse automobilistiche (ha fatto qualche rally), ma anche quelle in moto. I cagadubbi sono serviti: il cabarettista ha sfornato un bestseller. Un caso. Un accidente. Come quell’ictus che lo colpisce poco dopo, peraltro perfettamente superato. Bastano infatti un paio d’anni e Faletti concede il bis, Niente di vero tranne gli occhi. No, non è più un caso, non è più un nome da sfruttare solo perché già conosciuto: Faletti è uno scrittore e oltretutto piuttosto bravo. Al punto che i suoi romanzi, considerando anche i successivi, verranno pubblicati in 25 paesi, Cina e Usa compresi. Tra questi Fuori da un evidente destino, con gli amati Navajos protagonisti e ambientazione in Arizona.
Il cinema si interessa ai diritti dei suoi romanzi e lui approda su grande schermo come attore (Notte prima degli esami, per cui è stato anche candidato ai David, Cemento Armato, Baaria e altri). Insaziabile, generoso, fantastico anche perché nel frattempo si sta esprimendo come pittore, partecipa a iniziative umanitarie, è nume di manifestazioni culturali, ramazza premi in ogni ambito e stupisce tutti quelli che si avvicinano a lui disvelando una capacità straordinaria di introspezione e di riflessione.
Ora purtroppo ha dovuto rinunciare ai suoi impegni, per lui non c’è tempo per le riflessioni a fine corsa, ma nel comunicare che non poteva andare oltre lo ha fatto con quel tono che gli è proprio, in sintonia con la sua risposta all’igienista dentale di Berlusconi che lo aveva definito «una testa di cazzo comunista», «io non sono comunista, sono una testa di cazzo».
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