Lirismo spartano, duro, poetico e intransigente. E poi la Pianura Padana come scenario e stato d’animo, Giorgio Canali come al solito segue la sua indole, capta la demenza del mondo e la spreme nella canzoni, per farne a sua volta disgusto e rivolta rock. Chi scrive ha intervistato tante volte questo giovane di sessant’anni mai domo, e per la prima volta gli sente dire che si tratta del suo disco migliore da solista e con i Rossofuoco. A vent’anni da Che fine ha fatto Lazlotòz, il primo album di Canali di cui a novembre uscirà una ristampa in vinile, ecco Undici canzoni di merda con la pioggia dentro (La Tempesta). Un disco, commenta, pieno di fuochi, di paglia a volte, o fatui dei cimiteri.

UN ALBUM zeppo di disillusione, nato da febbraio a marzo, a seguito di un trasloco da Ferrara a una provincia come Correggio. Qui è scattata l’emergenza di scrivere dopo 7 anni dall’ultimo album di inediti. Ci sentiamo durante una pausa prove, è stanco ma contento: «Avevo due o tre idee musicali del 2012 ma il resto è recentissimo. A un certo punto mi sono accorto che avevo già ogni parola in testa». Nel disco ritorna continuamente l’orizzonte padano stravolto, opprimente ma anche costante. Un album dai contorni politici ma non ideologico, che riflette il temperamento dell’anarcoide Canali: «Non sopporto le gerarchie o chi ti dice di fare qualcosa. I miei dischi sono come li voglio e non come li vorrebbero magari le radio. Non devo rendere conto a nessun padrone». Canali nel primo brano Radioattività racconta la quotidianità dei «piccoli schiavi e dei piccoli padroni rombanti». Un affresco anche di come vede Correggio, con le sue fabbriche di plastica dove tanti piccoli padroni esercitano il loro piccolo potere: «Fare l’operaio in quella parte di Emilia significa guadagnare un salario maggiore rispetto ad altre d’Italia. E quelle due lire in più temo ti rendano più schiavo».

E così le questioni private dei testi entrano in contatto con le grandi sofferenze della terra, ma con il riguardo di chi è cosciente che il proprio dolore non è paragonabile a quello della maggior parte delle persone sul pianeta. Il titolo del disco è un’autocitazione di Orfani dei cieli dell’album Rojo: «Se non mi autocito, chi mi cita? (ride, ndr)».

Dall’Emilia Paranoica dei CCCP si è passati ad un’Emilia Parallela (o paralitica come si trasforma nel brano), in entrambi i casi una descrizione puntuale del presente, o in Undici dove c’è ’gente con 4g e un’ignoranza da medioevo’, dove amore e politica sono la stessa cosa, dove c’è il lato assurdo del web che ti permette di scrivere quello che vuoi ed essere assolutamente credibile: «L’ignoranza alimenta l’assurdità. Il web potrebbe essere libertà e anarchia, è l’unico terreno libero che ci rimane quando non viene imbrigliato da chi comanda». C’è una canzone d’amore intitolata Estaate che, solamente per il titolo, ricorda E.STA.A.TE, di Laura Pausini. Sbuffa: «Doveva chiamarsi come il singolo della Pausini, per fortuna poco prima del master è uscita lei e abbiamo cambiato il titolo. È un gioco di parole da bagnino che vuol far ridere a tutti i costi… Poteva venire in mente solo a un cretino come me o a una come la Pausini.. Dev’essere la comune origine romagnola». A differenza di altre volte, nessun pezzo che ascolterete nei concerti è stato suonato nei live in cui ci sarà invece l’intero nuovo disco. Un lavoro artigianale, tutto fatto in casa come le tagliatelle della nonna, lo definisce: «Farsi un disco da soli è tremendo: scrivere, registrare, mixare, eccetera. Aspetto un software che una volta pensata la canzone me la canti e me la suoni».

lL TOUR di presentazione del disco prosegue insieme ai Rossofuoco con nuove date: il 26 a Brescia alla Latteria Molloy, il 2 novembre al Druso di Bergamo, il 9 al Wasaby di Parma, il 17 al Glue di Firenze e il 30 sul palco del Monk a Roma.