Poco alla volta ma inesorabilmente la Giordania viene risucchiata nella tensione generata dalle guerre in Siria e Iraq e dall’ingresso preponente sulla scena dello Stato islamico. Ieri mattina intorno alle 7 – da poco era iniziato il mese islamico di Ramadan – un commando ha assaltato con mitragliatrici e bombe a mano un edificio di due piani che ospita una sede dell’intelligence all’ingresso del campo profughi palestinese di Baqaa, a nord di Amman, il più grande di quelli presenti in Giordania. L’assalto è durato poco, 2-3 minuti, ma si è rivelato preciso e letale. I morti sono stati sei: tre agenti e tre impiegati. Non ci sono state rivendicazioni, almeno fino a ieri sera. Il portavoce del governo, Mohammed Momani, ha lasciato intendere che si è trattato di un attacco di un gruppo islamista armato. «È stato compiuto da elementi criminali che non rappresentano la nostra religione moderata…sangue versato il primo giorno del Ramadan», ha commentato Momani.

L’assalto potrebbe essere stato una rappresaglia per il blitz compiuto tre mesi fa dalle forze di sicurezza nei pressi di Erbid, città del nord della Giordania che ospita un altro campo profughi palestinese, in cui rimasero uccisi sette presunti militanti dello Stato islamico oltre ad un militare. Però è solo una ipotesi. È certo invece che le cellule jihadiste si stanno organizzando nel regno hashemita, nonostante il lavoro incessante dei servizi segreti di re Abdallah, tra i più efficienti del mondo arabo (e partner di quelli israeliani).

Alleata di ferro degli Stati Uniti e dell’Arabia saudita in Siria a sostegno delle formazioni armate che combattono contro Bashar Assad e parte della Coalizione anti Isis creata da Washington due anni fa, la monarchia giordana ha usato la mano pesante in casa contro le espressioni più militanti del’islamismo e tiene sotto stretto controllo il movimento dei Fratelli musulmani (ritenuto dagli analisti la vera forza politica di maggioranza nel Paese), in vista anche delle elezioni politiche (una settimana fa re Abdallah ha sciolto il parlamento e ha nominato Hani Mulki come nuovo primo ministro). La repressione comunque ha colpito tutti, anche la sinistra. Centinaia di giordani sono stati arrestati e interrogati, e spesso detenuti, soltanto per aver espresso le loro opinioni sui social.

Tanto rigore non è bastato a fermare il reclutamento di nuovi militanti e simpatizzanti da parte dello Stato islamico e di organizzazioni simili. E se fino a qualche anno fa il serbatorio principale del radicalismo religioso era il sud del Paese, in particolare la città di Maan, adesso sono i campi profughi, quelli dei siriani scappati dalla guerra e quelli palestinesi, i luoghi dove la predicazione salafita jihadista raccoglie nuovi consensi. Non sorprende se si considerano le condizioni in cui sono sono tenuti i rifugiati siriani e, da decenni, quelli palestinesi. Pesano il degrado dei campi, la disoccupazione e la disperazione dei più giovani ma anche la pressione costante che grava sui palestinesi accolti nel Paese dopo la Nakba (1948) e la (Naksa) ma guardati sempre con grande sospetto e privati di pieno riconoscimento legale e di dignità.

Il pericolo è che anche in Giordania, come in Libano, i jihadisti riescano a mettere in piedi alcune delle loro basi nei campi. Sarebbe un disastro per i profughi palestinesi ai quali la monarchia hashemita farebbe pagare un prezzo altissimo. È ancora vivo peraltro «l’esempio» del campo profughi palestinese di Nahr al Bared nel nord del Libano. Nel 2007 l’esercito libanese non esitò a bombardarlo per settimane e a ridurlo in macerie pur di stanare Fatah al Islam, un gruppo jihadista formato da miliziani giunti da vari Paesi arabi che vi aveva stabilito la sua base. In bilico, sempre in Libano, è ora il campo di Ain al Hilwe dove si rafforzano gruppi jihadisti giunti dall’esterno e alimentati dal fanatismo che domina in non pochi quartieri della vicina roccaforte sunnita di Sidone.

Ora in primo piano c’è Baqaa in Giordania. Ieri sera il campo era circondato dalle forze di sicurezza pronte, secondo indiscrezioni, ad avviare un’operazione a tappeto per arrestare i responsabili dell’attacco alla sede dell’intelligence.