Gioli l’etrusco
Libri Una nota su Etruschi Polaroid 1984, Humboldt Books
Libri Una nota su Etruschi Polaroid 1984, Humboldt Books
Su Paolo Gioli, come su qualsiasi grande artista, non si può né si deve dire tutto. Certo, si possono ascoltare voci super autorevoli sul lavoro dell’artista, come per esempio quella di un Bruno Di Marino, ma il non-finito dovrebbe idealmente rimanere, diciamo, una costante. Pena: la riduzione di un modo di vedere a qualcosa che può svilire quanto, dell’arte, passa sotto silenzio.
Credo che una riflessione del genere possa essere condivisa da altre persone avendo sotto mano Etruschi Polaroid 1984, libro pubblicato da Humboldt Books (www.humboldtbooks.com) che presenta una serie di foto Polaroid di Gioli. Queste sono state realizzate «nel 1984 a partire da sculture funerarie conservate presso il settecentesco Museo Etrusco Guarnacci di Volterra e nello stesso anno esposte al Palazzo dei Priori […] la prima e unica occasione in cui furono mostrate», come scrive Roberto Valtorta in uno dei due testi del libro – l’altro è «Volterra» di David Herbert Lawrence. A seguire, prima della serie delle immagini, c’è anche una nota dell’artista sul processo attraverso cui ha restituito ai volti etruschi delle urne cinerarie da lui fotografati un «diverso mistero». Con le sue stesse parole: «Ho trasmigrato colori sul loro volto senza colore di gente di marmo e, qua e là, frammenti come vivi. La commistione della fotomateria con la raffigurazione del marmo (l’altra materia) mi ha creato, su questi visi, mutazioni e segni, dividendone le identità.» Il risultato è una serie – titolo originario: Il volto inciso – «su Polaroid Type-59, Type-88, SX-70, a partire da diapositive in bianco e nero fatte dall’autore, manipolate e a volte trasferite su carta da disegno e seta.»
Scorrendo le pagine, si può anzitutto notare la divisione tematica in «Etruschi» e «Sposi». Poi – altro dettaglio che salta subito all’occhio – come ogni volto sia disposto in coppia per la maggior parte dei casi. Invece, focalizzando l’attenzione sul piano più squisitamente espressivo, l’impressione è che questi volti, in parallelo e nel trattamento, siano non lontanissimi dai volti à la Francis Bacon. Destrutturazione della morfologia del viso; uso del colore in senso antinaturalistico; amplificazione dei dettagli, ripetizioni: pare esserci l’essenziale, ma certamente in un tono più leggero. Qui, inoltre, il paragone con la pittura di Bacon potrebbe rafforzare ciò che è comunque già presente nella serie: una possibile associazione che tende alla sovrapposizione tra antichità e contemporaneità. Nell’antichità di quei volti etruschi Gioli infatti ha trovato determinati tratti in potenza e li ha, come dire, avvicinati a noi. Allo stesso tempo, la configurazione di tali volti risulta essere il modo più efficace per nascondere fisionomie antiche che, forse, il nostro sguardo non è più abituato a fissare, ma che così, tramite le manipolazioni dell’artista, possiamo tornare a immaginare. In fondo, l’azione di Gioli non farebbe altro che giocare su due registri, diversità e mistero, restituendo all’antichità etrusca un’aura di non-finito, un riflesso che si sottrae alla Storia, un qualcosa su cui forse lui stesso, come artista, si specchia.
Vedendo queste immagini, la tentazione – in buona compagnia – sarebbe allora quella di dire che lo sguardo appartiene al passato; il gesto creatore, perché cieco, è invece sempre contemporaneo.
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