«Siamo abituati alle crisi, questa è una delle tante». Francesco ha continuato a portare al pascolo il suo gregge di pecore anche durante il periodo di confinamento. «Essere piccoli contadini vuol dire saper trovare sempre soluzioni nuove per sopravvivere» il giovane pastore sardo ne è convinto. Nella cosiddetta «Fase 1» molti piccoli agricoltori hanno rivoluzionato le loro abitudini per affrontare le difficoltà.

Mercati vietati, agriturismi e ristoranti chiusi, fattorie didattiche e asili senza bambini. Le piccole aziende multifunzionali si sono ritrovate, in molti casi, senza entrate collaterali. «Ci siamo concentrati sulle attività della campagna» dicono in molti.

Le misure di contenimento del virus hanno sospeso i mercati all’aperto in molte città. La riapertura, dopo il 4 maggio, è stata graduale, con un numero limitato di bancarelle e quindi di produttori. La chiusura dei mercatini ha penalizzato soprattutto la vendita diretta dei freschi ma anche l’apicoltura ne ha risentito. E chi aveva tenuto aperto il punto vendita in cascina si è trovato senza clienti. A raccontarlo è Francesco Panella, apicoltore di Novi Ligure e membro del Consorzio Nazionale Apicoltori (Conapi).

LA SOLUZIONE ADOTTATA DA MOLTI è stata la consegna a domicilio. Claudio Pozzi, presidente di WWOOF Italia e coordinatore di Rete Semi Rurali, ha raccolto testimonianze in questi mesi: «Chi era già organizzato per la consegna domicilio o si è adattato velocemente, ha aumentato vertiginosamente il volume delle vendite».
La vendita porta a porta, però, ha previsto più lavoro: «Un conto è fare due o tre mercati a settimana, diverso è servire le stesse persone a casa loro», a dirlo è Fabrizio Garbarino, contadino piemontese, allevatore di capre, produttore della Robiola di Roccaverano DOP e presidente dell’Associazione Rurale Italiana (ARI). Anche Andrea Bajardi, apicoltore e coltivatore di piccoli frutti, in provincia di Alessandria, ha deciso di puntare sulle consegne a domicilio: «Bisogna sapersi promuovere sui social». La Cascina Raglio di Luna, che gestisce con la moglie, ha chiuso l’asilo e le attività di fattoria didattica, concentrandosi su produzione e distribuzione.

RIORGANIZZARSI COMPORTA FATICA. «All’inizio è stata una botta. Eravamo abituati alla raccolta la mattina prestissimo e all’invio della verdura destinata al mercato, adesso, dopo la raccolta, si consegna». A raccontare la sua esperienza è Carmen, dell’azienda di agricoltura rigenerativa La Vitalba, che produce ortaggi nel Parco Agricolo Sud, a Milano. L’azienda è passata da 15 a 50 consegne settimanali.

Anche per chi si rivolgeva ai gruppi di acquisto solidale (GAS) il periodo di avviamento è stato difficile: la gente aveva paura e non poteva uscire di casa. «Ora consegniamo ad un referente che poi distribuisce alle famiglie», racconta Renata Lovati dell’azienda agricola e agrituristica Cascina Isola Maria, nel Parco Agricolo Sud Milano. Il piccolo agriturismo ha riaperto solo il 3 di giugno, prima l’attività si è concentrata, non senza difficoltà, sulla consegna porta a porta. La fatica ha dato i suoi frutti: la richiesta di prodotti è in crescita. «Abbiamo visto premiato il lavoro di anni» aggiunge. Secondo Renata l’emergenza ci ha aperto gli occhi sul ruolo dell’agricoltura, anche di quella periurbana. Gli ordini continuano ad essere tanti. È stato il passa parola tra amici, vicini e parenti a coinvolgere anche chi non faceva parte dei GAS.

CHI TRASFORMA I PRODOTTI HA DOVUTO cambiare ritmo durante il lockdown. «Abbiamo ritardato la produzione di formaggio» spiega Fabrizio Garbarino, dell’azienda agricola cooperativa La Masca. «Chi aveva già cominciato a produrre non riusciva vendere, molti hanno dovuto buttare i formaggi freschi, altri si sono convertiti a produzioni diverse». Francesco, invece, conferisce il latte delle sue pecore ad una cooperativa. La vendita diretta dei suoi formaggi si è quasi azzerata. Sono stati penalizzati dalle misure anti Covid-19 soprattutto gli allevatori che si rivolgevano alla ristorazione o al settore turistico.
Nino Quaranta, contadino 60enne, lavora nella Piana di Gioia Tauro, in Calabria. Ha dovuto mettere temporaneamente nel cassetto il progetto di creazione di una nuova cooperativa Della terra: contadinanza necessaria. Nino è imprenditore agricolo e coltiva un po’ di tutto. Produce olio, ortaggi estivi, arance e clementine. Si batte in prima persona contro mafie e sfruttamento dei braccianti. Dei due ragazzi assunti uno è originario del Senegal, è entrato nella sua azienda grazie al progetto Spartacus. All’inizio dell’emergenza ha sospeso il lavoro nei campi, per evitare il contagio: «Non me la sentivo di rischiare».

MOLTO SI È PARLATO DELLA MANCANZA di manodopera nelle campagne. Anche le piccole realtà si sono trovate senza l’aiuto necessario. Carmen con la chiusura della Lombardia, a marzo, ha perso due dipendenti, che si trovavano in altre regioni. «Sono stati sospesi anche i tirocini quindi abbiamo dovuto ricorrere ai familiari».

La resilienza e il senso di comunità hanno giocato a favore dei contadini. Essere piccoli ha permesso di riorganizzarsi, adattandosi ai cambiamenti e trovando soluzioni innovative: dai mini-gruppi di acquisto alle consegne di vicinato.

INTORNO AI PICCOLI PRODUTTORI si è stretta una comunità. «Nel momento del bisogno la produzione di formaggio è stata riassorbita dai GAS» sottolinea Fabrizio Garbarino, che ha sentito una grandissima solidarietà, dalle istituzioni e dalle singole persone. Si sono create anche reti di produttori, come racconta Carmen: «Il cambio di stagione è stato difficile: avevamo un esubero di alcuni prodotti e la mancanza di altri. Così è nata l’idea di una rete di mutuo aiuto per lo scambio di prodotti in eccesso». Lo stesso ha fatto Renata di Cascina Isola Maria proponendo ai GAS anche prodotti di altre aziende. «È stato un modo per aiutare altri a farsi conoscere». Renata ne è convinta: la solidarietà ha permesso di affrontare l’emergenza. Si ritiene fortunata perché la sua azienda fa parte del Distretto di economia solidale del Parco Agricolo Sud Milano, costruito su una rete di aziende e gruppi di acquisto. «Siamo riusciti a riorganizzarci perché operiamo in rete» conferma Nino Quaranta che vende a GAS e botteghe.

DA NORD A SUD IL MECCANISMO è lo stesso: il contatto diretto con il consumatore. Secondo Carmen i cittadini sono cambiati durante il confinamento: hanno rallentato i tempi, si sono dimostrati più comprensivi, hanno cercato legami di prossimità e si sono offerti come volontari per il lavoro agricolo. Il desiderio di cibo sano e la voglia di evitare le lunghe code hanno spinto molti consumatori ad avvicinarsi ai produttori. WWOOF Italia, come racconta Claudio, ha percepito il desiderio di cambiare vita tra chi vive in città: «Aiutiamo chi vuole lasciare il lavoro e chi lo ha perso a trovare opportunità in agricoltura».

GLI ABITANTI DELLE CITTÀ, chiusi in piccoli appartamenti durante il lockdown, hanno sognato, almeno una volta, di vivere in campagna. Le aree rurali, però, fanno i conti con lo spopolamento e con servizi scarsi. Il punto dolente per molti contadini è stata la didattica a distanza: un unico computer da condividere, una linea internet a singhiozzo. Non tutti la pensano così, per Andrea Bajardi è diventata un’opportunità: «Sono professore di scienze e ho fatto lezione dal mio apiario».
Affrontare cambiamenti è la normalità per di chi vive della campagna. «Il nostro lavoro è sempre più difficile. Le api sono un termometro dell’ambiente» sottolinea Francesco Panella, apicoltore: «Negli anni ho imparato a fuggire dai pesticidi per salvare le mie api». Riduzione della biodiversità, impoverimento dei suoli e cambiamenti climatici: sono queste le sfide quotidiane.