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Hitchcock, vite donne e film di un puer aeternusQuante volte è vissuta la « donna che visse due volte»? Almeno il doppio, considerando gli sforzi di Brian De Palma e di Barbet Schroeder di riportarla in vita. Di certo, c’è che le vie del manierismo sono infinite. Park Chan-wook ne è la prova. Del racconto hitchcockiano, non manca nulla in Decision to Leave. Le alture che danno le vertigini. Gli abiti, i fiori, la bella immigrata (Carlotta Valdes, lo si ricorderà, era messicana), Il detective che si innamora della donna sulla quale dovrebbe indagare, lei che lo attira in una trappola in cui è poi lei a cadere, e, ovviamente, il film diviso in due, l’analisi e la sintesi, l’inchiesta e la controinchiesta, la salita e la discesa (o viceversa)… Tutti pezzi di un puzzle visto e rivisto ma che ricomposto dà una storia diversa.

SE NON ALTRO, perché alcuni pezzi provengono da altri puzzle. Uno di questi è l’attrice Tang Wei, qui protagonista femminile nel ruolo di Song Seo-rae, già magnifica doppiogochista in Lussuria di Ang Lee (2007) e che proprio a causa della sua interpretazione in quel film fu ostracizzata dagli schermi per alcuni anni. Che cosa vede in lei il detective Jang Hae-jun interpretato da Park Hae-il? Quando la incontra, la sua espressione è quella di Scottie (James Stewart) nel momento in cui, per la prima volta, incontra Madelaine (Kim Novac) da Ernie’s. Ma c’è nel suo sguardo basito anche qualcosa di Nick Curran (Michael Duglas) in Basic Instict di Paul Verhoeven.

NULLA è più distante da Hitchcock che Verhoeven. Sono come i due estremi d’una catena dove da un lato c’è il doppio gioco e dall’altro c’è l’assoluta trasparenza. Curiosamente, Park Chan-wook riesce a combinare l’uno e l’altro. Il suo cinema è fatto di passaggi al tempo stesso brutali ed elegantissimi. La prima sequenza del film è come un manifesto di quanto segue. In poco più di due minuti, il regista accumula ogni genere di figura di stile nota da Griffith in poi: montaggio altrenato, parallelo, jump cut, flash back, foward… Per atterrare in una semplice scena domestica in campo e controcampo. Park gioca con i nostri automatismi di spettatore, negando i raccordi che ci attendiamo, sorprendendoci ad ogni scena con degli stacchi inauditi ma che al tempo stesso, è tutta la sua magia, non ci proiettano mai in un universo mentale o onirico.

È una questione di cucina. Ad un certo punto, il detective Jang Hae-jun propone a Song Seo-rae un piatto cinese. Lo vediamo all’opera mescolare una serie di ingredienti nel wok e presentare il risultato a Song che dopo un assaggio commenta: « Non è cinese, ma è buono». Se c’è una ricetta che Park segue nel cucinare i propri film è questa: annunciare un piatto, e poi servire qualcosa che nessuno ha mai assaggiato, ma che non sa di metafisica. Tra queste ricette, c’è la traduzione, o il fatto di perdersi in essa. Song Seo-rae è di origine cinese, nel presentarsi premette: «il mio coreano non è buono». Hae prontamente le risponde: «è migliore del mio». È noto che, nelle relazioni sentimentali, il fatto di non padroneggiare la lingua, nella misura in cui fa e disfa in permanenza i ruoli di dominante e di dominanto, è già di per sé un gioco erotico.La trama sembra un puzzle visto e rivisto ma che ricomposto dà una storia diversa

RICETTA ben nota. Park non l’inventa ne la reinventa ma la innesta su un altro elemento, a sua volta non nuovo, lo smartphone. È il vero MacGuffin del film. Con la differenza che, in genre (ovvero in Hitchcock), il MacGuffin è quella cosa sulla quale si attira l’attenzione dello spettatore, quel tanto che basta a fargli credere di aver capito tutto, mentre si prepara il colpo di scena. E che qui, invece, lo smartphone, presente praticamente in ogni momento, giocando ogni volta un ruolo nuovo, appare ad una lettura distratta come un dettaglio privo di mistero, mentre è la chiave, il vero filo d’Arianna che permette allo spettatore di uscire dal dedalo di situazioni nel quale il regista ci immerge. In un’intervista, Park Chan-wook ha dichiarato che l’idea del film gli è venuta ascoltando su Youtube la reintepretazione di una canzone pop della sua gioventù.
Il film doveva aprirsi con l’originale e chiudersi con la nuova versione. Infine, Park ha scelto un duo con entrambi gli interpreti. Se non suonasse come un difetto, si direbbe che queste scelte algoritmiche sono il rumore di fondo di Decision leave.