Premessa: Kingdom Come: Deliverance non è un videogioco perfetto. Sarà possibile che il giocatore casuale dopo l’entusiasmo di fronte ad un mondo vivo e palpitante sia scoraggiato dal livello (eccessivamente?) elevato di alcune competenze richieste (tipo: scassinare una serratura, borseggiare un passante, centrare un bersaglio con arco e freccia, ecc.). Ma allo stesso tempo è un’opera straordinaria per almeno tre motivi.

Primo: racconta in maniera affascinante una storia coinvolgente ambientata in un’accurata riproduzione digitale della Boemia medievale. La storia inizia nel 1403 quando il Re di Boemia Venceslao IV detto “il pigro” viene fatto rapire dal fratellastro Sigismondo, re d’Ungheria. Quest’ultimo invade la Boemia coi suoi eserciti saccheggiando ed imponendo pesanti tasse ai boemi. Il gioco – un gioco di ruolo con visuale in prima persona e con libertà di movimento in un vasto mondo aperto – ci mette nei panni di Henry, il giovane figlio del fabbro di Skalice, borgo della Boemia centrale, intento a imparare i rudimenti della professione ed a divertirsi con gli amici. Ben presto il suo mondo viene sconvolto dall’arrivo dei mercenari di Sigismondo che mettono a ferro e fuoco il villaggio e gli trucidano i genitori. Fortunosamente sfuggito, Henri deve trovare la sua strada all’interno di questo mondo come guerriero, come brigante, o anche – imparando a leggere – avvicinandosi di grado ai nobili che decidono le sorti del paese.

Secondo: una rappresentazione così accurata del mondo medievale, realizzata non solo con la creazione del territorio e della storia che vi è ambientata, ma anche con tutta una panoplia d’informazioni di contesto facilmente raggiungibili nel codex aggiuntivo fa sì che il videogioco diventi una sorta di strumento didattico in grado di far simulare agli studenti le condizioni di vita nel mondo medioevale. E non si tratta solo di un auspicio: Daniel Vàvra, alla guida del team di Warhorse che lo ha realizzato, ha segnalato con un tweet che l’Università Ceca ha deciso di utilizzarlo in un corso di Storia medievale. E ciò dimostra che un gioco di ruolo (perlomeno elettronico, ché da tavolo c’è ben altra quantità d’esempi) non deve necessariamente avere un’ambientazione fantastica e comprendere draghi e magie per essere apprezzato dalla critica e dal pubblico, anzi la ricerca e l’accuratezza al suo interno lo rendono appetibile anche a pubblici apparentemente distanti.

Terzo: il modello economico che va a scardinare il consolidato business del settore. La storia di Kingdom Come parte infatti dal 2009 con il succitato Daniel Vàvra che abbandona Illusion Softworks (ribattezzata 2K Czech in seguito all’acquisizione da parte del brand internazionale) e fonda Warhorse per dedicarsi allo sviluppo del progetto di un nuovo videogioco per cui trova però sbarrate le porte del finanziamento da parte delle “major”. Vàvra non si da per vinto e il 22 gennaio 2014 lancia una campagna su Kickstarter per ottenere 300.000 sterline al fine di realizzare un primo abbozzo del gioco da mostrare a possibili finanziatori. Il 22 ottobre Vàvra annuncia di aver ricevuto complessivamente oltre duemila dollari, oltre il quadruplo della cifra attesa e quasi la metà del budget previsto per lo sviluppo completo del gioco, il che gli ha permesso di concludere un accordo di produzione con Koch Media.

Per quanto il realismo fin troppo minuziosamente applicato ai dettagli come osservato all’inizio renda meno ludicamente soddisfacente il gioco (pur essendoci sempre vie alternative per raggiungere uno scopo, ammazzare ad esempio il proprietario di un baule che non si riesce ad aprire con un grimaldello potrebbe risultare un tantino eccessivo e pericolosamente in stile Grand Theft Auto), percorrere le lande boeme dell’inizio del XV secolo, osservarne la vita, le occupazioni, grazie anche allo splendore ed al dettaglio consentito dal motore grafico del gioco, CryEngine 3, è un esperienza che espande le potenzialità espressive del medium videoludico.