C’è una storia nel calcio poco o per nulla raccontata che riguarda un campionato perduto, quello del 1944. Non consegnato alla storia degli Albi d’oro se pur giocato tra le mille difficoltà di una guerra che in quel momento divideva l’Italia, e gli italiani, in due. A vincerlo fu la squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia, ma il suo nome non compare nell’Albo d’oro della Serie A. Marco Balestracci, scrittore, con il libro Giocare col fuoco (Ed. Mattioli 1885, euro 14) ricostruisce le vicende di quel momento calcistico mischiandole ai tragici fatti della Seconda Guerra Mondiale.

Balestracci, il libro prende in considerazione il campionato di calcio del 1944 che si svolge in un’Italia lacerata dalla guerra tra deportazioni, bombardamenti, fucilazioni. Perché si continuò a giocare a pallone?
Non c’è una risposta precisa a questa domanda, nel senso che non ci sono carteggi che esprimano volontà precise. È molto probabile che sia una decisione presa dal ministro della cultura popolare della Repubblica Sociale, Ferdinando Mezzasoma, perché Benito Mussolini aveva ben altre cose a cui pensare che organizzare un campionato di calcio. È altrettanto molto probabile che sia stato organizzato per diminuire la pressione psicologica che la guerra sul suolo italiano aveva portato, volendo dare una parvenza di normalità, accentuata dall’evidenza che, in fin dei conti, eravamo ancora campioni del mondo di calcio (l’Italia aveva vinto il mondiale del 1938, ndr). Insomma, la ricerca d’una normalità mescolata a un sottile pavoneggiamento fascio-italico.

L’impresa sportiva irripetibile che lei racconta di quel campionato è quella della squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia che vinse il titolo battendo il Grande Torino. Come mai il loro nome non compare nell’Albo d’oro della Serie A?
Semplicemente perché il campionato nel luglio del 1944 si ridusse a un torneo dell’Alta Italia, perché lo spostamento a nord del fronte di guerra portò tutte le squadre dell’Italia Centrale ad abbandonare il campionato. Il triangolare conclusivo dell’Arena di Milano giocato nel luglio 1944 avrebbe dovuto essere un quadrangolare a cui s’era classificata la Lazio, ma dopo la liberazione di Roma per recarsi a giocarlo la squadra avrebbe dovuto attraversare il fronte da sud a nord. Perciò il torneo finale si ridusse a un triangolare tra La Spezia, Torino e Venezia invalidandone di fatto la portata. Poi i Vigili del Fuoco sconfissero il Grande Torino per 2 a 1 e grazie a quel risultato vinsero il torneo. Comunque a La Spezia giurano e spergiurano che se il Torino avesse battuto i Vigili del Fuoco di La Spezia e avesse vinto il torneo, lo scudetto sarebbe stato regolarmente assegnato. Purtroppo non ne avremo mai la controprova.

Come nasce la squadra e quali difficoltà dovette superare?
La squadra è grosso modo lo Spezia Calcio che aveva militato in serie B nel 1942-1943, ma privato, ad esempio, di Eusebio Castigliano e Riccardo Carapellese che dopo il 25 luglio 1943 erano tornati alle proprie case. L’opportunità concessa dalla Figc (Federazione italiana giuoco calcio) di poter giocare – esclusivamente per il 1944 – nella squadra più vicina a casa, indipendentemente dal tesseramento, li indusse a rimanere dove si trovavano: in Piemonte. Le difficoltà superate dai Vigili del Fuoco furono indicibili. La Spezia è stata una delle città più bombardate d’Italia e l’attraversamento dell’Appennino Tosco Emiliano era estremamente pericoloso perché sempre contrastato dalla guerriglia tra gruppi partigiani, X Mas e reparti della Wehrmacht. In più lo Spezia non poteva giocare nello stadio di casa, perché era stato pesantemente bombardato, e le partite casalinghe le disputava a Carpi (Modena). L’attraversamento dell’Appennino in autobotte era pressoché bisettimanale e ogni volta deve essere stata una sorta d’avventura buona per la sceneggiatura di un film di guerra.

Perché non troviamo la squadra nei campionati successivi?
L’ossatura della squadra permase anche nei campionati successivi, tuttavia la Federazione non riconobbe l’identità tra Spezia Calcio e il Gruppo Sportivo 42° Corpo dei Vigili del Fuoco. Per questa ragione lo Spezia non poté partecipare alla serie A e rimase in serie B. Là dove si trovava prima del Campionato 1944.

Vi è stato in seguito un riconoscimento ufficiale da parte della Figc della vittoria del campionato?
In realtà il torneo venne subito declassato a Campionato di calcio dell’Alta Italia e venne assegnata una coppa simbolica che è tuttora conservata in una bacheca della caserma di Spezia dei Vigili del Fuoco. Nel 2002, invece, la Figc assegnò una medaglia di benemerenza al 42° Corpo dei Vigili del Fuoco e la possibilità di apporre uno speciale distintivo tricolore sulle maglie dello Spezia Calcio per ricordare quel campionato.

A quali fonti ha attinto per ricomporre la vicenda?
Ci sono diversi libri a sfondo storico che hanno ripercorso la vicenda, che, come di consueto, si trascinano dietro differenti letture dei documenti. Sulle fonti univoche ho costruito lo scheletro di Giocare col Fuoco che è un romanzo storico e che ne ha tutte le prerogative di verosimiglianza. Cioè verte su un’ossatura storicamente forte e ben documentata per non essere esposto a critiche sotto questo punto di vista, all’interno della quale si muovono alcuni personaggi fino a un certo punto inventati – quindi verosimili – che fungono da principali vettori della storia. A questo va aggiunta una buona conoscenza del principale territorio in cui si svolge perché mio padre era lunigianese e quindi conosco fin dalla mia infanzia le zone in cui si sviluppano le parti salienti della vicenda.

Che cosa l’ha colpita di più di questa storia?
Direi che la cosa che colpisce di più è meramente sportiva: cioè la sconfitta d’una squadra fortissima come il Torino di Valentino Mazzola rafforzato persino da Silvio Piola, battuta da una sorta di improbabile Banda Bonnot (gruppo anarchico francese, ndr), in una partita che rappresenta la miglior versione italiana di Uruguay – Brasile 2 a 1 a Rio de Janeiro nei Mondiali di calcio del 1950. Il resto non dovrebbe colpire e se lo facesse mi stupirei, perché significherebbe che le vittime della guerra che s’incontrano lungo il libro siano una sorta di sorpresa, come se la Seconda Guerra Mondiale sul suolo italiano sia stata una sorta di passeggiata di salute. Ciò che mi colpisce è appunto che molti siano sorpresi dalla mia insistenza nell’enumerare bombardamenti e morti violente. Spero che, in questo senso, Giocare col Fuoco contribuisca a far ricordare, per citare in qualche modo Mao Tze Tung e Sergio Leone, che la guerra