Giulia Pedroni è un’infermiera che lavora con Emergency dal 2014. Ha svolto missioni in Sudan e Afganistan ed ora è diretta in Uganda, nel bellissimo ospedale di chirurgia pediatrica appena inaugurato.

Ha scelto di fare l’infermiera per aiutare gli altri, ha scelto Gino Strada ed Emergency perché quello che l’ha sempre colpita e continua a tenerla attaccata a Emergency è l’idea di Gino di curare gli ultimi con la qualità e la professionalità che generalmente si riserva ai primi.

Qual è stata la tua esperienza con Gino Strada?

Ho conosciuto Gino nel 2010 a Khartum, quando sono partita per la mia prima missione in Sudan. Ho avuto la fortuna di vederlo subito all’opera. Non sono infermiera di sala operatoria, non lavoravo a stretto contatto con lui, ma avevo modo di ascoltarlo e di confrontarmici in molti momenti, dalle riunioni, ai meeting alle chiacchierate della sera: in ciascuna di queste occasioni, le sue osservazioni e analisi ti permettevano di farti un quadro della sua grande professionalità. Ci siamo visti anche in Afghanistan.

Un momento particolarmente bello passato con lui?

L’ultima volta che l’ho visto, alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2019. Veniva presentato Beyond the beach: the hell and the hope, il documentario sulle attività di Emergency. Siamo arrivati alla proiezione insieme e abbiamo parlato per tutta la durata del film della gestione, le strutture, i progetti, ma è stata anche l’occasione per ricevere osservazioni anche di ordine molto pratico: il numero giusto o sbagliato di operatori sanitari in una sala per esempio, i tempi di azione durante un’emergenza. Non gli sfuggiva mai nulla, nemmeno i dettagli, come la presenza o meno di una siepe o di piante fuori da una struttura. Era convinto che anche il verde, la bellezza, fossero importanti nella cura. Aveva la capacità di individuare sempre se c’era qualcosa che si poteva fare meglio tenendo presente la direzione da seguire.

Dove voleva andare Strada?

Sicuramente voleva portare il più possibile il diritto alla cura e alla pace. Quando qualcuno come Gino o come me ha visto così bene gli effetti della guerra, la cascata di eventi tragici che si porta dietro, dove vuoi andare diventa così evidente da essere banale. Si fa fatica a far vedere quell’orrore come lo vediamo con i nostri occhi ed era quello che Gino provava a fare. Ora lo faremo noi, continueremo a farlo, perché sappiamo che non tutti possono vedere con gli occhi di chi cura.

Come si va avanti senza Gino Strada?

La cosa più difficile è la sua assenza: già ci manca, come persona, anche con i suoi difetti; ci manca poterlo incontrare in ufficio o in ospedale… il suo carisma era molto forte, ma a me mancherà soprattutto come uomo. Per tutto il resto ha costruito un legame così forte con me e tutte le altre persone da permetterci di andare avanti lo stesso. Nel suo piccolo nessuno di noi è Gino, ma tutti insieme siamo forse di più.

Sei stata molto tempo in Afghanistan. Come vedi la situazione oggi?

La situazione in Afghanistan è sempre stata complessa. La mia preoccupazione è quella di sempre: per i civili, persone che non hanno potuto vivere una vita normale negli ultimi 50 anni. In questo senso non è cambiato niente. Vista dai nostri ospedali ora la situazione è tranquilla, ci sono meno feriti, in questo momento si combatte di meno, ma nessuno può sapere se la situazione migliorerà o peggiorerà.