In Italia la canzone francese ha rappresentato dagli anni ’50 un patrimonio al quale attingere in modi e tempi non sempre schiacciati ed appiattiti dalle mode, ma con il trascorrere dei decenni sostenuti da un desiderio «sempreverde» di stabilire una stretta cuginanza di relazioni soprattutto intellettuali con gli artisti d’Oltralpe. Di certo, una sudditanza c’è sempre stata ed è quasi inutile negarla: le nouvelle vague cantautorali regionali, in vetta quella genovese, non avrebbero forse mai avuto una tale risonanza ed influenza sulla canzone italiana senza l’apporto per procura di gente come Trenet, Becaud, Aznavour, Brel e Ferrè. Altrettanto però è da rimarcare l’originalità da parte dei nostri cantanti nel reinterpretare quell’immenso e scomodo canzoniere.

Per non andare molto lontano, è tutta da rivalorizzare la proposta cinquantennale di Nanni Svampa, recentemente scomparso, che seppe volger al milanese le canzoni di Brassens, riuscendo a creare un universo di microstorie e personaggi parallelo, talvolta migliore ed emotivamente più coinvolgente, perché spogliato del ferocissimo sarcasmo sciovinista del cantautore di Sète. Dunque, su quest’ideale e ormai storicizzata piattaforma sembra muoversi retrospettivamente la terza e ultima collaborazione tra Gino Paoli e il pianista Danilo Rea. Con quest’ultimo a rivelarsi ancora una volta tra i più profondi ed eclettici conoscitori ed esploratori dei più importanti canzonieri italiani ed europei, capace di non rinunciare alle improvvisazioni jazz e allo stesso tempo di misurarsi sia con le acrobazie vocali di Mina sia con il virtuosismo bachiano di Ramin Bahrami.

Comunque, vale la pena rammentare che i primi due pannelli del duo erano dedicati rispettivamente agli amici genovesi (Due come noi che…, risalente al 2012 contenente una minima auto-antologia di Paoli e versioni da Lauzi, Bindi, Tenco, De Andrè e dalle «francesi» Albergo a ore e Non andare via) e agli «evergreen» partenopei (Napoli con amore del 2013). Infatti se di Rea si è detto, forse a tutti non è chiara l’importanza che ebbe Gino Paoli nell’onda montante ligure e nell’introdurre, per l’appunto, gli chansonnier francesi in Italia, traducendo «hit» come la già citata Non andare via di Brel e Col tempo di Ferrè, diventate versioni di riferimento anche per traduttori più accreditati come Duilio Del Prete (per l’autore di Amsterdam) e Enrico Medail (per Ferré). E qui riproposte nella loro veste originale in un serrato face-to-face d’altri tempi, che segna un po’ il leitmotiv dell’intero ascolto dell’album per brani ormai diventati classici come Le déserteur di Boris Vian, La mer di Trenet o Marie Marie di Becaud.