È straordinaria la piega che sta prendendo la carriera intellettuale e artistica di Gillo Dorfles. La longevità, infatti, gli ha consentito, dopo anni di attività «clandestina», di rientrare e dalla porta principale nel novero degli artisti italiani più importanti del XX secolo, sia nel recupero retrospettivo e antologico della sua pittura (fu nell’immediato secondo dopoguerra tra i fondatori del M.A.C. ed è di due anni fa la grande mostra «Essere nel tempo» al Macro di Roma) sia nel desiderio di far uscire le ultime produzioni (ad inizio anno nell’esposizione monolocale alla Triennale di Milano si sono potuti vedere i disegni alchemici, risalenti agli ultimi dieci anni, di «Vitriol» ), e addirittura ha fatto tornare alla ribalta anche giovanili prove poetiche, apprezzate al tempo da Saba. Ma è l’attività che ha reso pubblica la sua professione di docente universitario ad essere refertata con la pubblicazione lo scorso anno di «Estetica senza dialettica», raccolta pressoché integrale dei suoi scritti filosofici, preceduta da altre raccolte come «Gli artisti che ho incontrato», che nel bene o nel male sembravano aver esaurito ulteriori discorsi intorno alla sua figura di «uomo del ‘900» (non contando il film dedicatogli da Francesco Leprino «La guerra del tempo»), che sa quasi di vendetta beffarda per lui che si è sempre vantato di avere lo sguardo sempre posato sul futuro e meglio di altri capace di catturarlo un instante prima che diventi presenti e si storicizzi nel passato. Dunque, a pochi mesi dal compimento del suo centosettesimo compleanno (e si è letto bene essendo nato a Trieste il 12 aprile del 1910), il filoso e critico del gusto, con la collaborazione di alcuni insostituibili sodali, Luigi Sansone, Aldo Colonetti e Enrico Rotelli, gli ultimi due rispettivamente prefatore e curatore di quest’ultimo libretto in ordine d’uscita, «Paesaggi e personaggi» (Bompiani, pp. 320, euro 15), Dorfles si lascia andare e dà la benedizione ad una serie di ricordi autobiografici che aprono al lettore la dimensione, non completamente inedita (resoconti sono apparsi come registra la bibliografia sul Corsera), del suo viaggiare: quasi mai avventuroso, ma antropologicamente curioso e teso alla ricerca del sorprendente e attenzione non del bizzarro, sia nell’attraversare un luogo sia una città e un paesaggio (notevoli sono le pagine dedicate alla Toscana volterrana riportata ad un tempo lontano e di guerra e di sfollati, teso tra mollezze leopardiane e durezze dannunziane) o nell’incontro con personaggi «straordinari» del secolo scorso (da Svevo a Rothko tanto per mostrare la varietà di alcune di queste visite). Ma il protagonista con il suo «bagaglio leggero», più o meno metaforico, resta solo lui, Gillo Dorfles, con le sneakers rosse ai piedi.