Cultura

Gilles Deleuze, nelle pieghe di un pensiero

Gilles Deleuze, nelle pieghe di un pensiero

SCAFFALE Un saggio tradotto in italiano e dal titolo «Scienza intensiva e filosofia virtuale», scritto da Manuel DeLanda e pubblicato dalle edizioni Meltemi

Pubblicato più di un anno faEdizione del 28 gennaio 2023

Pur essendo un libro imprescindibile per muoversi «nelle pieghe del pensiero di Deleuze», Scienza intensiva e filosofia virtuale (Meltemi, pp. 290, 21 euro) arriva in Italia con quasi 10 anni di ritardo rispetto alla versione originale grazie all’attento lavoro di cura e traduzione di Andrea Colombo. Sebbene la letteratura su Deleuze sia sterminata, in pochi sono andati oltre la trita ripetizione di talune «formule magiche» riprese dal pensiero del filosofo francese in maniera più o meno corretta e più o meno avulsa dall’impianto generale. Tra questi pochi, assieme a Lapoujade e Zourabichvili, spicca sicuramente Manuel DeLanda, il cui scopo «non è tanto interpretare Deleuze, quanto ricostruire la sua filosofia»; come afferma senza mezzi termini: «non mi occuperò delle parole di Deleuze, ma del suo mondo». Questa ricostruzione che si fonda soprattutto su Differenza e ripetizione, Logica del senso e il trittico con Guattari – del cui contributo fondamentale alla riflessione deleuziana DeLanda sembra però dimenticarsene completamente – è al contempo ontologica ed epistemologica. E non priva di sorprese per chi ha letto Deleuze con le lenti deformanti di un certo postmodernismo molto superficiale e molto alla moda fino a non molto tempo fa.

PER DELANDA, l’ontologia di Deleuze è «un’ontologia dei processi» che si smarca da ogni forma di essenza e di essenzialismo non tanto perché sostituisce queste parole con altre, quali molteplicità o immanenza, ma perché impegnata, in un serrato dialogo con le scienze (che DeLanda restituisce in tutta la sua ricchezza), a di/mostrare come le cose, senza ricorrere a spiegazioni a loro esterne, possano far sì che continui a divenire ciò a cui abbiamo dato il nome fissista di «essere» o di «esistente».

Operatore fondamentale è, in questo caso, la differenza concepita «non in modo negativo, ovvero come mancanza di somiglianza, ma positivamente e, anzi, produttivamente, come ciò che è in grado di dare il via a un processo dinamico» e che, come tale, non va semplicemente annunciata, ma più modestamente spiegata concetto dopo concetto. Analogamente, l’epistemologia deleuziana è «un’epistemologia dei problemi», un’epistemologia cioè che non è intesa a svolgere il ruolo di contenitore/ripetitore di «un insieme di frasi vere capaci di rappresentare i fatti una volta per tutte», ma che invece è volta a «distinguere all’interno della grande popolazione di fatti veri quelli importanti e rilevanti».

In un saggio compatto, complesso e rigoroso, DeLanda rimuove Deleuze dall’ambiente costruttivista in cui era stato inserito a forza da interpretazioni insostenibilmente leggere, per farne un «filosofo realista» o, come afferma Colombo nella sua prefazione, un filosofo «materialista». Il pensiero di Deleuze, infatti, «si sbarazza di tutti i fattori trascendenti, facendo uso esclusivamente di risorse che generano forme immanenti al mondo materiale stesso».

IL PENSIERO di Deleuze insomma è sì oscuro ma contemporaneamente anche distinto, ed è oscuro e distinto perché oscure e distinte non sono le parole ma le cose – e, per questa ragione, più che materialista è forse il primo filosofo inequivocabilmente neomaterialista, capace com’è di cogliere gli spettri che si aggirano nella materia, senza esorcizzarli ma provando a darne ragione. Ecco allora il mondo di Deleuze in poche parole: «un mondo aperto pieno di processi divergenti che producono entità nuove e inaspettate», «un mondo che non resta fermo abbastanza a lungo per permetterci di scattarne un’istantanea e per presentarla, poi, come verità finale».

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