Dopo decenni di onorato servizio, Massimo Giletti lascia la Rai. E’ stato per anni conduttore de l’Arena, uno spazio informativo della domenica pomeriggio. In tv di programmi urlati e rissosi ce n’è abbastanza per doversene rammaricare.

E poi la politica in televisione deborda ovunque, a tutte le ore e in tutti i santi giorni, e una sana dieta non è forse inopportuna. Detto questo Giletti ha ritenuto, parole sue, lesive della sua dignità le proposte di fare altro, anche in prima serata, sulla Rai. Ed ha scelto la 7. Che pensiamo stia facendo come la rana di Esopo con i programmi d’informazione (vabbé a basso costo, ma senza esagerare): rischia di averne troppi e non sempre all’altezza, come confermano gli ascolti.

Detto questo, se è lecito esprimere un giudizio, l’Arena di Giletti, pur al netto di un impegno civile su temi e questioni importanti di cui va dato atto, spesso non ci piaceva. Troppo spesso la cifra della conduzione era segnata da un plus di indignazione in ‘servizio permanente effettivo’ come si dice di un ruolo dal quale non si può tornare indietro; da una specie di permanente rabbia verso tutto ciò che sa anche solo lontanamente di establishment, di ‘casta’. Un tratto che alla fine rischiava di sbagliare bersaglio, con improvvisati processi tv dove gli imputati a volte non avevano voce per difendersi e per argomentare (come è successo, ad esempio, a due stimati esponenti dell’associazionismo virtuoso calabrese qualche mese fa), soffocati dal demagogo di turno o dal taglio della parola operato non sempre con equilibrio e imparzialità da Giletti. Il quale, con tutto il rispetto, non è Santoro. Piuttosto, come succede in questi casi, del giornalista napoletano è epigono non sempre ben riuscito. La Rai, e il servizio pubblico, non lo rimpiangeranno. Così come non lo rimpiangerà il ‘suo’ pubblico, ne siamo quasi certi.

Forse accadrà, come la storia insegna, che lui rimpianga tra qualche tempo la Rai.