Con il raffinarsi di approcci metodologici dedicati e il consolidarsi di corpora documentari e studi specifici, lo statuto disciplinare del giardino – della sua storia, come delle estetiche che lì convergono e si attivano – ha assunto oramai un rilievo a un tempo istituzionale e corsaro nel suo trasversale pervadere discipline e pratiche sociali. Diventa così necessario tentare proposte interpretative che vadano oltre i pur meritori, moltiplicati repertori d’insieme di storia del giardino fondati su criteri geografico-cronologici, genealogie di stili, emergenze emblematiche.
Per muovere verso una tematizzazione ampia, che senza pretesa di imporre una sistematica di modelli e categorie astratte, calate dall’alto, provi a ripercorrere le molteplici fisionomie dei singoli exempla mettendole in tensione e ricombinandole attorno a snodi caratterizzanti e motivi conduttori.
Ed è quanto fa, in particolare per i giardini italiani, con intelligente coraggio e raffinata maestria, Alberta Campitelli in un’opera a tutto campo dedicata appunto a Ville e giardini d’Italia Percorsi nel tempo e nei luoghi tra natura e artificio, di grande formato e riccamente documentata, edita da Jaca Book (pp. 413, euro 100,00).
A cavallo tra competenze diverse, di soprintendente, docente e organizzatrice culturale, la Campitelli individua alcuni nodi tematici, che pure tra loro sovente si intersecano e sovrappongono. Le sterminate declinazioni della relazione potere-giardino, il sistema di valori simbolici che vi si dispiega, la dimensione proiettiva del dare e farsi spettacolo che è propria del rapporto giardino-teatro e, ancora, il rilievo della natura dei luoghi, la molteplicità e il variare delle funzioni, le specificità botaniche, il ritornare e variamente diversificarsi di modelli, l’interazione serrata con le arti.
Committenti e artefici
E certo, a voler dare conto della ratio del volume seguendo quei temi – in cui pure il libro è articolato – si fa senz’altro torto alla ricchezza di un’operazione che attorno a essi ridispone specifiche vicende, descrizioni puntuali, dettagli e tratti salienti, analisi di casi concreti – giardini, committenti, artefici. Episodi che, proprio perché riletti per infinite riprese, volta a volta dalle prospettive differenti che quei temi distillano, restituiscono, attraverso i molteplici percorsi delineati, la trama di un complessivo panorama della storia e della cultura dei giardini italiani. Ma tant’è!
E allora, il tema dei giardini come scena privilegiata di espressione del potere viene seguito per come variamente nei diversi casi illustrati si declina, dai giardini reali dei papi a quelli delle dinastie, nelle specificità dei contesti politico-territoriali, anche minori, della penisola tra Medioevo e Ancien Régime, fin nelle tipologie della residenza in villa, nel succedersi dei cardinal nepoti. Volta a volta, emblema dell’esercizio della sovranità e dei suoi modi, occasione di trasmissione e amplificazione di valori, nonché veicolo di affermazione sociale e strumento – tra architettura e paesaggio – di ordinamento e controllo del territorio.
Mentre il tema persistente del giardino come cornice per l’esibirsi nelle diverse fasi storiche di simbolismi e complessi programmi ideologici traspare, con riferimenti religiosi, magari in sincretismo tra classicità e cristianesimo, fino alle allegorie convocate nel giardino rinascimentale e manierista in una fitta trama di suggestioni e riferimenti e, oltre poi i messaggi di espiazione e penitenza salvifica della fase controriformistica, fino ai percorsi iniziatico-sapienziali dei giardini esoterici, spesso di impianto paesaggistico, espressione della cultura massonica.
Ancora, si seguono le tracce della mutua relazione e scambio di ruoli tra teatro e giardino, che vede palcoscenici imitare giardini e giardini allestiti come scene per ospitare funzionalmente spettacoli, o invece giardini intesi essi stessi come teatri dove gli elementi compositivi dello spazio si fanno attori. Dai teatri di verzura con statue e quinte vegetali, fin nella variante barocca dei teatri di fiori – con questi ultimi esibiti come esotici protagonisti –, e fino ai grandiosi teatri d’acqua e a quelli di automi d’impronta manierista.
Dall’acqua sorgiva di Ninfa
Il tratto unificante dei giardini riflessi sull’acqua si conferma nella presenza diffusa, seppure in grande varietà nel loro articolarsi di tipologie e nei territori della penisola. Da quelli dei paesaggi di lago, specialmente dal XIX secolo, a quelli sopra il mare, terrazzati, giardini belvedere, dei golfi e delle riviere, da quelli con darsena o su un podio o un’altura, lungo i corsi d’acqua delle ville venete, sul Brenta o sui navigli, a quelli come Ninfa dove la scaturigine del giardino è proprio nel pervasivo scorrere dell’acqua sorgiva.
Al giardino come elemento connettivo spetta poi il ruolo di aprire spazi e mediare funzioni in un processo di lungo periodo che vede, in un duplice movimento, da un lato la riconversione della diffusa tipologia del fortilizio medievale ingentilito e trasformato in residenza di piacere – con l’apertura di logge, l’eliminazione di torri e merli e l’inserimento di terrazzamenti e giardini che su scala urbana finiscono, come nel caso delle cinte murarie per i passeggi pubblici, per definire nuovi utilizzi – e dall’altro il diffondersi di un’edificazione ex novo che negli elementi si ispira all’architettura militare con funzione di arredo, talvolta veicolando messaggi di presidio stretto sul territorio, spesso con libertà e mescolanza di scelte, stili e funzioni.
E ancora, il tema del collezionismo di piante che, in parallelo con la vicenda scientifica della diffusione degli orti botanici universitari e poi con l’ampliarsi d’orizzonte innescato dai viaggi di esplorazione dei cacciatori di specie esotiche, scandisce l’apparizione di giardini che magicamente ricreano mondi, trasponendo per acclimatazione singole collezioni o intere intersezioni di habitat.
Dentro al Moderno ci porta il tema del «revival» del giardino formale, cosiddetto all’italiana, nella lettura del tempo che lo vuole regolare, articolato in aiuole geometriche, con siepi topiate, fontane e perlopiù senza fioriture. Tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento, nella congerie del Ventennio che propaganda richiami all’italianità e per committenze di classi sociali emergenti che intendono ispirarsi ai modelli del passato, si assiste al diffondersi di ripristini «in stile». Che se talvolta, seppure su scala ridotta, tendono a mere riproposizioni di temi classici, talaltra costituiscono occasione per inedite reinterpretazioni e per sperimentare nuovi linguaggi. Che si tratti delle rivisitazioni all’inglese della tradizione italiana, da Villa I Tatti a La Foce, alla costiera di Villa Rufolo e Villa Cimbrone, o delle invenzioni e del segno affatto personale, e che introduce al giardino contemporaneo, di Pietro Porcinai.
Parchi di sculture, nuova vita
Se l’analisi dei temi ripercorsi fin qui si arresta con quel dopoguerra che costituisce un cambio di scena, con il diffondersi di un nuovo tipo di società e giardinaggio, dove assieme alla richiesta di spazi verdi di città si affaccia un’idea di giardino diffuso, un ultimo capitolo si sporge a dare conto della contaminazione tra storia dei giardini e arte contemporanea. Tema storiografico recente che nella ricognizione delle differenti tipologie di «Parchi di sculture» è affrontato puntualizzando l’operazione che vede l’opera per come entra in relazione con il contesto ambientale del giardino e le stratificazioni storiche che lo connotano, sprigionando la potenzialità di dotarlo di nuova vita.
Oltre la rassegna, vale insomma, come detto sopra, l’invito a ripercorrere le oltre 400 pagine del volume. Procedendo con l’autrice piuttosto per raccordi, incroci, attraversamenti, giochi di rimandi, dove, enucleando i tratti salienti delle proteiformi singolarità del giardino, si compone una proposta storiografica che finisce per riarticolarne contorni e statuto.