«La guerra piace a chi non sa cos’è». Si apre così, assumendo a riferimento ideale il noto monito erasmiano, la più recente ricerca del filosofo del diritto Mario G. Losano dedicata agli articoli pacifisti delle Costituzioni di Giappone (art. 9), Italia (art. 11) e Germania (art. 26): i tre Stati dell’Asse che, usciti sconfitti dalla Seconda guerra mondiale, riscrissero, sotto pressione più o meno intensa dei vincitori, le proprie Carte fondamentali tra il 1947 e il 1949.
Edito, in lingua italiana, dal Max-Planck-Institut per la storia del diritto europeo di Francoforte nel 2020, il libro che raccoglie i risultati della ricerca s’intitola Le tre costituzioni pacifiste. Il rifiuto della guerra nelle costituzioni di Giappone, Italia e Germania ed è disponibile on-line in open access e, su richiesta, in edizione cartacea (pp. 399, euro 26,38).

Al capitolo iniziale, ricostruttivo degli eventi che condussero prima alla stipulazione del Patto Tripartito e poi, con la sconfitta bellica, alla trasformazione democratica dei tre Stati in parola, fanno seguito tre capitoli dedicati all’analisi dell’origine storica, del significato giuridico e dell’attualità politica delle singole clausole costituzionali pacifiste. A completamento del lavoro, tre appendici sono dedicate, rispettivamente: al dibattito del 2018 sulla proposta di modifica, se non di abrogazione, dell’art. 9 della Costituzione giapponese; al movimento dei «Partigiani della pace», promosso dal Cominform nel 1947 e legato all’Urss, ma capace, proprio in Italia, di suscitare un coinvolgimento ben al di là del mondo comunista; alle dimenticate disposizioni pacifiste della Costituzione della Repubblica democratica tedesca (artt. 5 e 6) e alla legge che in quel Paese, nel 1950, fu dedicata alla tutela della pace.

AD ANIMARE LA RICERCA di Losano – allievo, e poi biografo, di Norberto Bobbio, traduttore e introduttore in Italia di Hans Kelsen, studioso di Rudolf Jhering, pioniere dell’informatica giuridica, cultore della geopolitica – è l’urgenza di recuperare piena consapevolezza della realtà della guerra, e quindi del valore della pace, in una fase storica in cui scontri asimmetrici, guerre ibride, conflitti umanitari, missioni di pace o di polizia internazionale rischiano di confondere ciò che da sempre è fin troppo chiaro alle vittime di ogni conflitto armato: che guerra significa lutti e distruzioni, tanto più dopo che Hiroshima e Nagasaki hanno reso reale il rischio dell’annientamento atomico.
Dalla prospettiva della teoria dello Stato, la rinuncia allo ius ad bellum (il diritto di dichiarare la guerra) – imposta ai tre Stati sconfitti dalle potenze vincitrici, ma fortemente sostenuta dal sentimento popolare diffuso – rappresenta una rottura della tradizione che, fin dai Trattati di Vestfalia (1648), proprio nella guerra offensiva individua il nucleo essenziale della sovranità statale. Non che mancassero i precedenti: come ricorda Losano, una disposizione analoga compariva nella Costituzione della Repubblica spagnola del 1931 (art. 6) e, ancor prima, la rinuncia alla guerra era stata al centro del Patto Briand-Kellog del 1928.

LA FINE della Seconda guerra mondiale – «il peggior conflitto della storia» – infuse, però, al valore della pace una solidità popolare senza precedenti, capace di farsi ancora sentire a distanza di decenni, in occasione delle manifestazioni tedesche e italiane degli anni Ottanta contro gli «euromissili».
Proprio tale solidità è oggi venuta meno. La violenza bellica è tornata a essere strumento pressoché ordinario di governo delle relazioni internazionali: al punto che, mentre la guerra del Kosovo del 1999 ancora ebbe bisogno di trovare legittimazione, anche se ex post, in una risoluzione Onu e quella contro l’Iraq del 2003 giustificazione nella menzogna delle armi di distruzione di massa, nel caso dell’attacco alla Libia del 2011 nessuna finzione è stata necessaria e la più cinica brama di potenza – persino intestina al campo occidentale – ha potuto apertamente manifestarsi.

ALTRI PAESI trassero in seguito ispirazione dalle tre Costituzioni pacifiste esaminate nel libro di Losano. Ripercorrere in esso le vicende che portarono la pace al cuore del diritto costituzionale del dopoguerra ci consente di tornare ad apprezzare a pieno l’importanza politica e ideale di quella scelta. Nella speranza che, col tempo, il valore della pace riacquisti la necessaria solidità nel sentire diffuso e nell’azione politica.