Dopo avere «bucato» l’infosfera estiva con l’anticipazione di un rapporto devastante sulla condizione socio-economica sul Sud, il presidente dello Svimez Adriano Giannola ripropone quelle che, a suo avviso, potrebbero essere le misure per invertire la rotta e disancorare il Mezzogiorno da una spirale di bassa produttività e bassa crescita, cioè dalle politiche adottate in italia da 30 anni e che oggi l’hanno trasformata in un deserto. Il sud, la nostra Grecia.

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Il rapporto Svimez: Il disastro al Sud, la nostra Grecia

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Si parla, ad esempio, di costituire «Zone economiche speciali» sul modello di Rotterdam o Amburgo per rilanciare la logistica, l’industria e il «capitale sociale». Prima di approfondire chiediamo a Giannola un parere sulla proposta della ministra alle attività produttive Federica Guidi: per il Sud sarebbero pronti 80 miliardi di fondi europei (ieri sono diventati 100).

Adriano Giannola, presidente Svimez
Adriano Giannola, presidente Svimez

Professor Giannola che cosa fare per rendere questi fondi meno inutili del piano Berlusconi-Tremonti che promise la stessa cifra nel 2010?Non c’è bisogno di comunicare di avere 100 miliardi, basterebbe dire su cosa si interviene nello specifico e con quali tempi. Il problema è che questi fondi si sono trasformati in una iattura. Non siamo in grado di spenderli e vengono usati per tamponare bene o male la realtà drammatica del Sud di cui nessuno parla. Durante il semestre italiano nessuno si è posto il problema di riorganizzare la coesione territoriale che oggi penalizza le regioni meridionali. Se questi fondi ci sono, allora usiamoli per questioni strategiche.

Quali?Logistica dei porti e ferrovie, le energie rinnovabili, le acque, i beni culturali o la rigenerazione urbana, per fare qualche esempio. È una litania che ripetiamo da anni: non serve avere tante risorse, piuttosto bisogna attrarne. Il Sud è una grande questione italiana. Se questo paese volesse maturare una visione strategica, allora si dovrebbe porre alla testa di una nazione euromediterrenea che guarda alle grandi rotte commerciali che passano dal Canale di Suez. Oppure si può continuare a dare ragione alle idiozie di Maroni con la Lombardia che ha perso 30 posti nell’economia europea. Continueremo ad andare a sbattere contro un muro come facciamo da vent’anni crescendo a malapena dell’1% e presumo che non saremo contenti di questa stagnazione nord-centrica. Invece di essere quelli che cambiano verso, continueremo a essere poveri.

Che cosa sono e come funzionano le zone economiche speciali (Zes) proposte dallo Svimez?
Bisogna aprire un confronto sui meccanismi compensativi degli squilibri interni alla periferia della Ue, predisponendo adegua i strumenti di fiscalità di compensazione da usare nell’ottica di un’armonizzazione delle politiche fiscali nel medio periodo. Le Zes sono uno strumento potente usato in Cina e in Europa per ripopolare i territori e agganciarli ai traffici. Per questo c’è bisogno della logistica. L’idea è diventare intermediari mondiali dei commerci da Est a Ovest, da Sud a Nord. Oggi da Suez il 90% delle navi vanno direttamente ad Amburgo o Rotterdam. Da lì poi le merci arrivano a Milano. Si rende conto del consumo energetico? Questa è una follia ambientale . Invece una regione come la Calabria potrebbe diventare un hub produttivo con il porto di Gioia Tauro. Oppure si rende conto cosa significherebbe avere un agroporto a Taranto? Queste trasformazioni trainerebbero il mondo locale, creando capitale sociale.

Dopo il passaggio di Delrio alle Infrastrutture, Renzi ha accentrato la delega per la coesione territoriale. Cosa dovrebbe fare?
Un consorzio obbligatorio delle regioni del Sud che concentri i fondi sulle priorità delle città e determini le strategie per cogliere l’opportunità mediterranea. Ad oggi non ne abbiamo colto nemmeno una. Abbiamo l’urgenza di attrarre capitali. La zona speciale è una garanzia che stiamo facendo qualcosa. Ma ci vogliono tempi rapidissimi. Che sia tutto accentrato a palazzo Chigi va bene, che ci sia una sussidiarietà verticale anche. A chi non progetta e non spende, vengono ritirati i fondi e decide il governo. Ma siccome non si spende, allora si taglia il cofinanziamento dal 50 al 20 per cento. Perché il governo non fa un progetto e spende lui quello che non spendono gli altri?

Già, perché?
Perché non ha una strategia sulla logistica o sull’energia. Potremmo essere leader nell’ecocompatibilità energetica e nella sostenibilità ambientale, ma non usiamo l’enorme fonte geotermica del Mediterraneo per paura di scomodare i potentati del settore. Bisogna riorganizzare il sistema degli incentivi che non devono essere rendite senza ritorno produttivo e tecnologico come oggi. Siamo dipendenti per l’85% delle risorse energetiche importate.

Due sono le cose che Renzi ha fatto per il Sud fino a questo momento: gli ha tolto 3,5 miliardi per finanziare la decontribuzione delle assunzioni per il jobs act e approvato le autostrade e le trivellazioni dello Sblocca Italia. Come giudica queste operazioni?
Piccolo cabotaggio senza strategia. Non si ha il senso di cosa vuol dire governare un grande paese europeo in questa temperie. Bisogna avere il coraggio di proporre una visione del paese come fecero negli anni Cinquanta La Malfa, Saraceno, Morandi, giganti rispetto a quelli di oggi. Si sono battuti, non tutto è riuscito bene direi, ma molto è stato fatto. Oggi c’è solo il piccolo cabotaggio delle riforme strutturali, cornici senza che ci sia un quadro. È ora di iniziare a dipingere il quadro, altrimenti la cornice non serve a niente.

Paul Krugman nel 1991 parlava di «mezzogiornificazione» d’Europa. Oggi in ogni paese europeo c’è un sud nelle condizioni del nostro sud, ad esempio l’ex Germania dell’Est. Non crede che questo sia il risultato di un assetto generale dell’Unione Europea e di un sistema monetario pensati per favorire l’export tedesco?
È un discorso delicato. Sono un convinto sostenitore dell’unione monetaria ma sono consapevole che così com’è aumenta le divergenze tra i paesi. Sin dall’inizio dell’Ue abbiamo insistito che si facesse il necessario per contenere queste conseguenze con un bilancio e una spesa unica. Oggi la Germania arranca perché la convergenza è diminuita, ma non è paragonabile con quello che sta succedendo nel Mezzogiorno. Siamo in una situazione in cui non si rispettano i diritti costituzionali all’istruzione o alla sanità. Il nostro paese non cresce, né si sviluppa e va avanti a vanvera senza porsi il problema di riaprire una stagione di sviluppo.

Che differenza c’è tra lo sviluppo e la crescita, un concetto sul quale insistono tutti come un mantra?
La crescita è un concetto statico, lo sviluppo è dinamico, è una trasformazione strutturale. Dobbiamo avviarci su questa strada. Per farlo però c’è bisogno innanzitutto di una sana e franca discussione.

Lei sostiene che rischiamo di trasformarci in un proconsolato tedesco. Non pensa che sia già così?
Viviamo in un paese eterodiretto. Non è che la Germania sia cattiva, ma se c’è un vuoto, lo si riempie. Siamo un pezzo della Mitteleuropa. Se continuiamo così, la gente emigrerà, i giovani se ne andranno, le università chiuderanno. C’è sempre una soluzione. Purtroppo non è detto che sia sempre quella ideale.

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Leggi l’intervista: Gianfranco Viesti: “Renzi ha tagliato gli investimenti al Sud per finanziare il Jobs Act”

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