Continuano le proteste contro l’«esodo forzato» dei docenti neoassunti meridionali ieri a Palermo, Catania, Bari e Potenza costretti all’«esodo forzato» a centinaia di chilometri dai luoghi di residenza. Sono circa 1800 gli interessati in Puglia, tra scuola primaria e secondaria di primo grado e, secondo fonti dei sindacati della Scuola di Cgil, Cisl, Uil e Snals – potrebbero salire a 2500 contando anche i docenti della media superiore. Seicentottanta sono i docenti lucani che inizieranno l’anno scolastico a settembre «a migliaia di chilometri da casa per colpa di una legge e di un algoritmo che stanno devastando le famiglie». Secondo i primi dati elaborati dagli stessi manifestanti su 8 mila docenti immessi in ruolo nelle scuole del Nord del paese, 5 mila sarebbero quelli siciliani, persone che fino a due anni fa hanno insegnato nelle scuole dell’isola. Tutti chiedono alle regioni di appartenenza un aiuto, magari sui posti di sostegno. L’Anci Sicilia ieri ha ribadito la propria «preoccupazione» per l’allontanamento di «docenti esperti»» e si è appellata alla «necessità di evitare che la nostra terra venga privata anche di questo preziosissimo capitale umano» ha scritto il sindaco di Palermo e presidente Anci Sicilia Leoluca Orlando. «Massima comprensione per i docenti che dovranno temporaneamente spostarsi dalla propria regione» ha risposto il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone. Per il momento, l’«esodo» durerà tre anni. Non proprio «momentaneamente». E poi si vedrà.

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La protesta dei docenti “esodati a forza” a Palermo. Foto Ansa

La ministra Giannini ha annunciato ieri l’assunzione di 32 mila docenti, poi si è capito che coprono il turn-over, non risolvono la precarietà di 80 mila già abilitati e nemmeno le supplenze. Giannini ha continuato a minimizzare il problema dell’«esodo». Ha detto che dei «200 mila» docenti in mobilità quest’anno, solo il 10% sarà costretto a muoversi dal Sud al Nord. In questa percentuale dovrebbero esserci i docenti delle superiori che conosceranno il loro destino il 13 agosto. Il problema è un altro: l’esodo riguarda i neoassunti della «Buona Scuola», non i docenti già assunti che chiedono l’avvicinamento. Senza contare che la riforma ha creato discriminazioni ai danni degli assunti con maggior punteggio, costretti a trasferirsi. A questo si sono aggiunti i danni provocati dal famoso algoritmo. Per il governo è «tutto regolare» e le anomalie saranno esaminate «caso per caso». Per i sindacati sono invece migliaia e rivelano un baco nel sistema che ha penalizzato l’accordo sulla mobilità che – nonostante l’opposizione alla riforma «buona scuola» – hanno firmato settimane fa e che adesso mostra i suoi limiti. Per Domenico Pantaleo, segretario Flc-Cgil, «è falso che tutto vada bene, vi sono evidenti errori nelle procedure di mobilità e bisogna rivedere tutto. La conciliazione proposta dal Miur non risolve il problema, il meccanismo crea disuguaglianze e provoca l’esodo dal Sud al Nord». Si prevede un aumento dei contenziosi e, per chi riuscirà a trovare un posto nella propria regione, il ricorso alle «assegnazioni temporanee».

Il conflitto è stato neutralizzato l’anno scorso perché molti docenti – non tutti – hanno avuto la possibilità di fare l’«anno di prova» nella propria regione. Nel 2016/7 la «Buona scuola» partirà sul serio e i presidi sceglieranno i docenti con il curriculum come i manager fanno con i loro dipendenti. Al centro resta l’algoritmo: la riforma renziana ha trasformato la scuola italiana in un caso di governo automatizzato attraverso i numeri e i docenti in «capitale umano»: due pilastri delle politiche neoliberiste. Esemplare la definizione fornita ieri da Giannini: «L’algoritmo è la traduzione matematica-informatica di un contratto di lavoro condiviso dalle sigle sindacali». Il contratto, e la città di destinazione del docente, oggi li decide una formula matematica, non lo Stato. È l’«uberizzazione» della scuola. Com’è noto, il noleggio auto con conducente avviene attraverso una piattaforma gestita da una multinazionale. Anche in quel caso l’algoritmo è segreto. I numeri sono inappellabili, perché non «sbagliano». L’apparente oggettività in realtà nasconde arbitri sui quali il governo custode della governance non intende intervenire. I docenti sono le cavie involontarie di un nuovo modo di governare le vite e la scuola pubblica. Su di loro si è abbattuto il razzismo anti-meridionale e il qualunquismo contro «scansafatiche» e «privilegiati». Violenza e risentimento sono il corredo ideologico dell’autoritarismo della «Buona scuola».