Gianni Mura è stato tradito dal suo cuore. Quel cuore che ancora l’altra sera, mentre era ricoverato in ospedale a Senigallia, lo aveva spinto a chiamare il giornale per dire che non sarebbe stato in grado di scrivere la sua rubrica. Lo stesso cuore che lo aveva fatto appassionare allo sport e agli umili e che, unito a un talento narrativo e giornalistico singolare, lo aveva trasformato nell’ultimo dei grandi davvero, dopo i sempre rimpianti Gianni Brera e Beppe Viola. Tutti lombardi, figli di un territorio oggi così martoriata. «Imbecilli senza confini, ma la brava gente è di più». Così il suo ultimo «cattivo pensiero» di settimana scorsa, la rubrica quasi quarantennale che Mura ha tenuto su Repubblica e che ha dovuto interrompere non senza avvisare.

MURA era nato a Milano, classe 1945, fresco di liceo Manzoni si era presentato neppure ventenne, su istigazione e raccomandazione dello stesso liceo in quanto bravo in italiano, al direttore della Gazzetta Gualtiero Zanetti. Prima ipotesi di articolo cestinata, poi entrato in redazione, non verrà mai più cestinato, anzi di lì a poco ha cominciato a seguire come inviato il Giro d’Italia. Il ciclismo. Forse la sua passione sportiva più grande, soprattutto il Tour. Dopo qualche girovagare è approdato a Repubblica, dove ha incontrato Gianni Brera, diventandone il rampollo prediletto. Il primo incontro tra i due è stato in campagna, tra oche di nome DeGaulle, a raccogliere uova. Inizio di un legame professionale e umano, cementato dalla passione per lo sport e per la buona tavola. Quella di Gianni per Giuan è una stima che va ben oltre l’aspetto professionale, basta andare a rileggersi il coccodrillo dettato a braccio quando un incidente d’auto strappa Brera dalla faccia della terra e Mura si trova a Malta per un incontro della nazionale. Di nuovo un pezzo fatto col cuore, perché questo era Gianni, che pure aveva le sue antipatie e idiosincrasie, ma quando voleva raccontare qualcuno davvero riusciva a cogliere aspetti che gli altri neppure osavano immaginare. Figurarsi per la morte di un amico.

UNA DELLE SUE FRASI di maggior efficacia recita così «lo sport avrà tanti difetti, ma a differenza della vita nello sport non basta sembrare, bisogna essere». Ecco qui si coglie la dimensione più autentica della persona che va oltre la questione sportiva. Mura sapeva vedere e cogliere l’essenza, non l’apparenza e la sapeva raccontare magistralmente, che fosse calcio, ciclismo o vita vissuta. Per questo ha saputo scrivere e parlare di cose che non erano solo sport, ma hanno riguardato la nostra stanca civiltà, che fossero questioni di pace, di migranti e altro ancora, al punto da occuparsi anche di questo in prima persona con generosità come condirettore di E-il mensile di Emergency. Anche Scarp de’ tenis, la rivista dei senzatetto lo annoverava tra i suoi collaboratori abituali. Ora mentre Gianni potrà fare partite di briscola e scopone con i suoi grandi amici, ai suoi cari resta solo un incolmabile vuoto.