Era una figura rara di politico e intellettuale Gianni Borgna, che si è spento ieri a Roma a 67 anni. In lui agivano e si rilanciavano le due funzioni, quella del politico esperto cresciuto a Botteghe Oscure, e quella del pensatore non conformista capace di coltivare il festival di Sanremo e l’intero universo della canzone italiana e assieme una devozione profonda a Pier Paolo Pasolini, che frequentò e coinvolse come Fgci negli ultimi anni prima della morte del poeta. E con questa curiosità poliedrica si trovò a gestire l’intero settore della cultura del Pci, di cui fu per anni responsabile. Senza mai cadere nel populismo, ma mirando piuttosto in alto (fino a rischiare critiche e polemiche quando dall’incarico al Bottegone passò direttamente al cda della Biennale di Venezia, di cui fu consigliere; ma erano tempi in cui i partiti facevano le nomine esplicitamente, assumendosene la responsabilità, senza i personalistici paraventi d’inciucio di oggi).

In realtà poi la sua vera fama, e il titolo destinato a rimanergli addosso, fu quello di “assessore alla cultura”: lo è stato infatti per molti anni, dal 1993 al 2006 passando dalla giunta Rutelli a quella Veltroni. In questo modo era divenuto un riferimento obbligato per qualsiasi fatto culturale avesse luogo nella città, dall’episodio di quartiere alla Notte bianca veltroniana. E vi si era dedicato con dedizione assoluta, e anche con generosità: se dal Bottegone centralista poteva non essere stato entusiasta dell’uragano Nicolini, sicuramente all’assessorato di piazza Campitelli cercò un riequilibrio con le “utopie” praticate dal suo predecessore. Dal 2006, per qualche anno, è stato presidente di Musica per Roma, l’ente che gestisce l’auditorium, succedendo a Goffredo Bettini, suo sodale come Walter Veltroni ai tempi figiciotti di Nuova generazione. Benché fosse forte della propria cultura, gli toccò affrontare gli sbalzi dei nuovi equilibri berlusconiani, trovandosi perfino a dover difendere la direzione Albertazzi al Teatro di Roma. In quella, come in poche altre occasioni, era stato capace di perdere la pazienza e l’innata gentilezza, e a chi lo criticava per una scelta ribadita e insensata, gridò di “essere stufo dei Soloni del manifesto…”. Non più di due mesi fa, si trovò al centro dell’ultima polemica, quando il suo nome fu proposto dal Pd per la presidenza dello stesso Argentina. Davanti alle accuse di “continuismo” avanzate da qualcuno, Borgna, già malato, sbatté rumorosamente la porta.

Ma a fianco al culto di Pasolini (di cui promosse le prime grandi manifestazioni commemorative a Roma, già nel decennale della morte), e sul cui pensiero vitale aveva recentemente anche scritto una drammaturgia, andata in scena, Borgna coltivava una grande passione per la canzone popolare. In questo campo è invece assurto a storico massimo del festival di Sanremo, e di tutto l’ambito musicale extracolto italiano. I suoi libri restano importanti, anche sul piano sociologico, per capire importanza e spessore anche delle più vituperate canzonette e canzonacce. Amico dei cantautori e dei musicisti, Borgna ha offerto uno strumento di lettura fondamentale della società italiana, e bastano alcuni di quei titoli per conservarne l’immagine e lo spessore: Storia della canzone italiana (Mondadori, 1994) e La grande evasione. Storia del Festival di San Remo – 30 anni di costume italiano, (Savelli, 1980).