«Il cerino della crisi lo abbiamo in mano noi europei, ora dipende da quanto brucia» afferma Gianfranco Viesti dopo avere visto il record dell’inflazione stimato da Istat e Eurostat in Italia e in Europa a giugno. Professore di Economia applicata all’università di Bari, ieri Viesti ha presentato lo studio «Le città italiane e il Pnrr», scritto con Carmela Chiapperini e Emanuela Montenegro, e presentato in un convegno organizzato nel capoluogo pugliese da urban@it che si occupa di questioni urbane.

Il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è stato presentato come lo strumento per tornare a crescere. Voi dite che è molto grande, è stato elaborato senza confronto con le forze economico-sociali e gli enti locali, è organizzato con interventi rigidamente settoriali. Sarà sufficiente per affrontare la crisi?
Potrebbe dare una mano importante. Fin’ora non c’è stata ancora la spesa, dunque non ne vediamo gli effetti economici in senso stretto. Li potremmo vedere dalla fine del 2023 quando gli investimenti pubblici inizieranno ad andare a regime. Non so se ce la farà, ma agirà in senso positivo.

Nel 2023 la crisi di cui vediamo l’incubazione oggi sarà però dispiegata…
Questa è una crisi che dipende in larga parte dal mercato mondiale dell’energia e poi dalle conseguenze della guerra russa in Ucraina. Non abbiamo molte armi per contrastarla, bisogna capire come andranno i prossimi mesi. Il governo, onestamente, sta facendo qualcosa su bollette, caro carburanti. Sono risorse di bilancio ordinario, sta provando a mitigare. Il cerino in mano ce lo abbiamo noi europei occidentali, dipende da quanto brucia.

Romano Prodi sostiene che il Pnrr non può ridursi a un piano per l’edilizia pubblica e privata e che servono altri investimenti a cominciare da quelli sua forza lavoro. Perché il piano non risponde a queste esigenze?
Questo è un piano di investimenti pubblici, perché le regole comunitarie sono state disegnate così. Non c’erano margini di libertà. Dentro ha la garanzia di occupazione e lavoro che potrebbe essere utile, ma vedremo come. È un pezzo delle politiche economiche, la lotta alle diseguaglianze e per il lavoro si fa con altri strumenti. E questi ultimi non credo che siano tanto nelle corde di questo governo.

Il presidente della corte dei conti Guido Carlino ieri ha sostenuto che il ruolo delle autonomie locali nel Pnrr è fondamentale. Sono state messe nelle condizioni ideali per agire?
Assolutamente no. Il piano ha un’impostazione politica molto forte. Non vede il tema del rafforzamento delle capacità ordinarie delle amministrazioni pubbliche, eppure ai comuni spetta realizzare una grande fetta degli investimenti, Il governo si è reso conto che questo approccio poteva mettere in dubbio l’intero piano e ha messo insieme una serie di misure parziali. Resta un problema politico di fondo: l’Italia si rafforza con le assunzioni di personale qualificate nel pubblico.

Il ministro delle infrastrutture Giovannini sostiene che il governo sta cercando di recuperare le carenze attraverso molti concorsi stiamo cercando di recuperarle. Saranno sufficienti?
Sono utili ma non sufficienti per i numeri complessivi della carenza di personale che abbiamo. Le competenze tecniche nei comuni, sopratutto per la parte di progettazione, servivano già da ieri.

Sostenete che Roma, Napoli, Torino e Milano sono destinatarie di minori investimenti rispetto ad altre aree etropolitane. E nei capoluoghi emergono disparità sensibili. Come mai?
Sono molto preoccupato da questa lista di città del centro-sud nelle quali fino ad ora l’ammontare degli investimenti sembrano molto contenuti. In particolare per Calabria e Sicilia che sono le realtà già deboli. Il piano destinerà il 40% delle risorse al Sud, ma non ha un obiettivo di allocazione equilibrata delle risorse. Noi segnaliamo che in alcune medie città del centro-sud si sta facendo troppo poco. Bisogna usare anche altri strumenti di politica ordinaria affinché Cosenza o Sassari possano avere una diversa considerazione. E bisogna fare di più nella grande area metropolitana di Napoli.

Rispetto agli obiettivi del Pnrr a cosa può servire il progetto di «autonomia differenziata» portata avanti da questo governo e quali effetti avrebbe sulle città e gli enti locali?
Se fossero approvate le richieste di Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia ci sarebbe una grande confusione su chi fa che cosa. Questo in generale mi sembra un aspetto molto negativo. Non dico affatto che deve stare tutto al centro, anche perché diversi ministeri stanno facendo male in questi mesi. Significa che c’è bisogno di un decentramento ragionevole, intelligente e ordinato e non andare avanti a botte di richieste tutte politiche come sono quelle dell’autonomia differenziata.