In occasione dei trent’anni di attività di regia di Gianfranco Pannone, Istituto Luce Cinecittà ha appena distribuito il dvd del suo ultimo film «Scherza con i fanti» con le musiche di Antonio Sparagna. Pubblichiamo stralci dell’intervista di Luca Biscontini pubblicata nel booklet allegato.

Le origini
Sì, esistono ancora comunità reali, che in buona parte ho conosciuto grazie ad Ambrogio. Sono molto presenti al Sud, per esempio, e hanno ancora al centro di tutto la fede cristiana. E mi colpisce che in un grosso centro come Catania, dove ogni inizio d’anno si festeggia Sant’Agata, patrona della città, o in paesi come Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, assai legato alla Settimana Santa, tanti giovani, credenti e non, ogni anno tornano numerosi dalle loro famiglie per festeggiare un sentimento comune che non esito a definire d’identità territoriale. A taluni queste manifestazioni di fede e di comunità potranno sembrare anacronistiche, ma io ho visto con i miei occhi una tale partecipazione da essermi emozionato come non accadeva da tempo. Una risposta alla globalizzazione più selvaggia? Forse sì, ma c’è qualcosa di più, il desiderio di condividere con gli altri un’appartenenza che fa sentire vicini ai propri nonni e avi, e che in un’epoca di facili oblii qual è la nostra, assume un significato alto. Dopo le ubriacature del boom economico e poi degli anni ottanta, in cui ci si vergognava persino di riconoscere le proprie origini contadine e pastorali o comunque «basse», tanti giovani hanno riscoperto valori che sembravano persi, compresi quelli religiosi, e non necessariamente solo grazie alla fede. Insomma, alla «tragedia antropologica» di pasoliniana memoria, in certe aree d’Italia, più a Sud che a Nord, si sta sostituendo altro, direi una maggiore consapevolezza del valore delle proprie origini. Manifestato così, questo potrebbe sembrare un pensiero da destra, ma io credo, invece, che parole come identità, territorio e anche patria, non debbano essere regalate alle forze conservatrici. (…)

Papa Francesco
L’esercito più piccolo del mondo, pur ritenendolo coerente con il mio percorso di cineasta, merita un discorso un po’ a sé, perché in origine parte come un mediometraggio su commissione per il CTV- Centro televisivo Vaticano, su iniziativa dell’allora Direttore Don Dario Viganò. Sembrerebbe quasi un miracolo aver potuto realizzare un lungometraggio godendo di molta libertà. È che avevo sottovalutato il ruolo di Papa Francesco. Mi spiego meglio. Francesco ha portato dentro il Vaticano, e credo con non poca fatica, una ventata di apertura verso l’esterno che infine si è ripercossa anche su L’esercito più piccolo del mondo. Ricordo che a inizio riprese ero molto entusiasta, ma anche piuttosto preoccupato che René, uno dei protagonisti, allora studente di Teologia entrato nella Guardia Svizzera, manifestasse nel suo diario personale un certo imbarazzo a indossare la variopinta divisa del Corpo, che gli sembrava anacronistica, figlia di un tempo ben lontano dallo spirito, molto importante per lui, del Concilio Vaticano II. Ebbene, quando manifestai l’intenzione di inserire la crisi di René nel film documentario, non senza ricordare il grande cinema di Ermanno Olmi, che in qualche modo, da E venne un uomo a Centochiodi, ha la forza di collocarsi dentro e fuori la Chiesa, ho trovato sia Don Viganò che l’allora Capitano della Guardia Svizzera, Frowin Bachman, molto aperti. E direi che questo difficilmente sarebbe accaduto con un altro Papa. (…)

Il sol dell’avvenire
Sono certo che il nostro Paese non abbia ben metabolizzato gli anni settanta, anche se per fortuna c’è chi ha saputo castigarne con intelligenza certi vezzi e luoghi comuni… Penso a Nanni Moretti, che ho seguito e amato da quando ero ragazzo. Una mancanza di profondità ben visibile anche rispetto all’Unità d’Italia, al colonialismo, al ventennio fascista… fino a Tangentopoli. Noi italiani tendiamo a volare sopra le cose più scomode, come se nulla fosse accaduto. È una dannazione storico-antropologica la nostra, che evidentemente deriva da una diffusa mancanza di fiducia verso la realtà: arriva l’invasore di turno oppure un conflitto forte, lo subiamo, lo introiettiamo persino, per poi lasciarcelo alle spalle come nulla fosse. E navighiamo volentieri nelle menzogne, fino a convincerci, per esempio, che negli anni settanta fossero solo quattro gatti a credere nella lotta armata. Mentre non era proprio così, a cominciare dal nostro ambiente. Le Brigate rosse avevano non pochi fiancheggiatori e lo slogan più moderato che girava in quegli anni era «né con lo Stato né con le Br». E poi c’è il ruolo del Pci, che di fatto ha sempre negato la parentela con i terroristi rossi, anche se un capo delle prime Br, Alberto Franceschini, tra i protagonisti de Il sol dell’avvenire, proveniva dalla Federazione giovanile comunista di Reggio Emilia. Certo, i parenti reietti li puoi anche rifiutare, ma non puoi certo fingere che non esistano. Figurati il pandemonio che io e Giovanni Fasanella, con cui condivido il film, abbiamo involontariamente creato dopo l’uscita al Festival di Locarno nel 2008! Da destra e da sinistra, sono piovuti attacchi diretti e indiretti. (…)

Ricordo che qualcosa di analogo era accaduto pure qualche anno prima con Latina/Littoria (era il 2001), film documentario in cui mi occupavo dello sdoganamento fascista e del consolidarsi del “berlusconismo” in provincia, seguendo, insieme allo scrittore Antonio Pennacchi, le vicende dell’allora Sindaco ex saloino Ajmone Finestra. Fui accusato, anche in Germania a dire il vero, di assecondare gli impeti fascisti di Finestra, che con disinvoltura da una sua vetrina-sacrario, in una scena del film, per esempio, non esita a esibire due miniature di Hitler e Mussolini. Eppure mi sembrava importante mostrare quella contraddizione (…) E questo, traslato sul racconto della realtà passata e presente, lo debbono fare gli artisti, scrittori, uomini di teatro, cineasti…, anche con spregiudicatezza se serve.