Con la chiusura improvvisa e brutale del suo impianto toscano, ciò che, tra l’altro, indica cosa si nasconda spesso dietro i discorsi sull’impresa sostenibile e sulla sua responsabilità sociale. Ma, mentre due aziende produttrici di pezzi meccanici per auto vogliono chiudere, molte altre lavorano al massimo della loro capacità produttiva e non riescono comunque a tener dietro alla domanda di chip, sempre per auto. Due mondi ormai molto lontani, che simboleggiano in qualche modo quello che sta accadendo nel mondo della componentistica.

In un articolo recente chi scrive sottolineava la drammaticità strategica della situazione. Si sta passando rapidamente, con una rottura tecnologica epocale, dalla vettura tradizionale ad una elettrica, a guida autonoma, imbottita di elettronica. La parte meccanica delle vetture sarà fortemente ridimensionata.

E’ soprattutto su questo sfondo che bisogna valutare le decisioni della GKN e della Gianetti Ruote, anche se la causa immediata delle crisi può essere quella del trasferimento all’estero per una questione di costi o per un calo della domanda, in un ambiente competitivo sempre più duro. La componentistica tradizionale ha la necessità di adattarsi rapidamente o perire, mentre si pongono grandi interrogativi sull’occupazione nel settore.

Ma cambiare non appare per niente semplice. Ricordavamo nell’articolo citato come la Foxconn abbia mobilitato un gruppo di 1200 imprese per offrire tutta la strumentazione hardware e software per la vettura nuova, con la parte elettronica che costituirà ormai l’80% del costo totale; certo, ci vorranno sempre freni, ruote, vetri, sedili, fari, ma anche una parte di tali prodotti sono previsti nell’offerta Foxconn; intanto la tedesca Bosch, che fattura 74 miliardi di euro all’anno contro i 50 circa di tutta la componentistica nazionale, sta investendo decine di miliardi di euro per effettuare il passaggio alle tecnologie numeriche.

L’impegno della trasformazione appare enorme e rischia di vedere al traguardo, nella sostanza, solo pochi protagonisti globali.
Quale è la situazione attuale nel nostro paese?

Nella classifica delle imprese mondiali del settore, la prima dal nome italiano, la Pirelli, si trova giù, al 52° posto, ma essa è peraltro a capitale cinese, mentre al 55° posto si colloca la Magneti Marelli, a controllo Usa: abbiamo così un perfetto bilanciamento politico. Per trovare qualche società veramente nazionale, dalla Brembo alla OMR, dobbiamo scendere ancora di molto nella lista. Secondo i dati forniti dall’osservatorio per la componentistica di Torino, nel nostro paese operavano nel 2019 2.198 imprese, con 164 mila addetti e 49,2 miliardi di fatturato, il 3,9% in meno rispetto all’anno precedente, mentre il 2020 non dovrebbe certo essere andato meglio; comunque, il 61% delle attività è concentrato in Piemonte ed in Lombardia. L’export si colloca al 41% della cifra d’affari. Si tratta per il 54% di imprese a gestione familiare e per il 25% ancora a gestione familiare-mista; per la gran parte esse sono molto specializzate nel settore.

Senza voler sottovalutare il ruolo delle piccole imprese, pensare che una struttura imprenditoriale simile riesca ad effettuare le trasformazioni richieste appare molto difficile: mancano le dimensioni, le competenze, le risorse finanziarie, manca forse anche la spinta. Si può temere che in futuro assisteremo così al ripetersi di casi come quello della GKN e della Gianetti, anche se speriamo di no.

Bisogna anche ricordare che la componentistica italiana è ancora legata per quasi la metà del suo fatturato a Stellantis, le cui decisioni di fornitura potrebbero anche cambiare in misura sostanziale. Ma, a questo punto, superate le fatiche delle montagne, quelle degli sbocchi di mercato sarebbero soltanto le fatiche delle pianure.

Essendo molto difficile che la gran parte delle imprese si salvi da sola, anche se qualcuna riuscirà in qualche modo a farlo, e mancando i capitali privati nazionali desiderosi di tentare l’avventura, l’unica soluzione sembra quella di una forte iniziativa pubblica di intervento per il sostegno, la riconversione, la diversificazione, delle aziende del settore, magari con il coinvolgimento di capitali privati nazionali e stranieri, if any.

Il punto è certo che bisogna cercare di salvare la GKN e la Gianetti, ma il problema appare ben più largo e non bisogna far l’errore di guardare solo ai singoli alberi senza considerare tutta la foresta e comunque prima che essa prenda fuoco, cosa frequente di questi tempi. Ma cosa diranno in proposito i neoliberisti che ci governano?