Domani la Giamaica va alle urne per eleggere il nuovo premier; si fronteggiano i due partiti che dal 1962 (anno della proclamata indipendenza) governano in alternanza il Paese: Pnp (People National Party) e Jlp (Jamaica Labour Party). I popolari, al governo con Portia Simpson dal 2012, sfidati da Andrew Holness, il nuovo leader laburista.

Il programma di Holness verte sull’economia: 250.000 posti di lavoro promessi e la soglia di tassazione sul reddito elevata a JA$ 1.500.000 (circa 12.000 euro) annui. Una strizzata d’occhio al ceto medio: categorie come infermieri e insegnanti, con 7.000 euro di reddito medio l’anno, subiscono le stesse aliquote dei ceti alti. Promesse da marinaio? Di sicuro la mossa laburista mira a conquistare quella fascia di popolazione che in maggioranza vota, non è un caso che la working class sia ancora una volta esclusa da programmi mirati: i poveri votano poco, molti non possiedono un documento d’identità, obbligatorio per farlo e sopravvivono con meno di 2.500 euro l’anno, in un Paese dove il costo dei generi primari è superiore a quello statunitense.

Ghetti trincea

In realtà, il governo quaggiù conta poco, il settore privato, soprattutto straniero nel nuovo millennio, controlla la finanza locale e condiziona le mosse del parlamento. I partiti sono oltremodo screditati dal loro recente passato turbolento. Il garrison scheme, lo schema violento che ha caratterizzato la politica dal 1962 al 2011 armando i ghetti della capitale e concedendo potere e impunità ai boss della droga che dominano i settori urbani, è ancora piaga dolente nel ricordo dei giamaicani. Che continua a sanguinare dopo le recenti sparatorie di Montego Bay, 6 le vittime cadute ai raduni elettorali Jlp.

Le trincee dei disperati, l’una contro l’altra, distanti poche centinaia di metri, hanno falcidiato migliaia di vite nel corso degli anni: la guerra civile, che contrappose Pnp e Jlp dal 1976 al 1980, conta quasi mille caduti; durante la rivolta di Tivoli Gardens nel 2010 circa 100 civili furono massacrati da polizia ed esercito.

Il quartiere di Tivoli fu negli anni ’60 invenzione di Edward Seaga, nato a Boston da genitori libanesi, produttore musicale, leader Jlp e primo ministro dal 1980 al 1989. Trasformò Back-o-Wall, una bidonville di fango e lamiere, in una comunità con scuola, clinica prenatale e giardini. Ne fece però la sua fortezza personale e il presidio di controllo elettorale. Michael Manley, Pnp, capo del governo negli anni ’70, gli contrappose Trench Town come antagonista. La guerra tra le due fazioni fu così efferata che Bob Marley, ferito in un attentato, decise di intervenire costringendo i due riottosi leader a stringersi la mano durante un concerto.

Seaga fu sempre legato ai repubblicani Usa. L’alleanza con Reagan prima e Bush senior poi, pose l’isola sotto il loro controllo e inserì la sua economia nei programmi Fmi e Banca Mondiale. L’intervento di Reagan sabotò le esportazioni di cibo durante l’alleanza di Manley con Castro; con i supermarket vuoti, l’esperimento socialista Pnp fallì e Seaga prese il potere.

Il suo delfino Bruce Golding, premier dal 2007 al 2011, esasperò questa tendenza, ponendo il boss narco Dudus Coke al comando di Tivoli e Denham Town, ignorando la richiesta di Obama di consegnare l’uomo alla Dea.

Sotto minaccia del taglio fondi dell’Fmi, Golding ordinò l’arresto di Coke provocando la rivolta dei ghetti repressa ferocemente delle forze speciali che distrussero case e persone con mortai, bombardamenti dagli elicotteri ed esecuzioni sommarie.

In ventre di vacca

Allo stato attuale, solo riguardo agli interessi secondari sul debito contratto con l’Fmi, la Giamaica paga quattro volte più di quello che spende per investimenti. E gli stessi interessi sono parecchio superiori ai fondi erogati dall’ente. Malgrado i massicci investimenti cinesi, poco rimane per i servizi di cui l’isola ha bisogno. L’autostrada ultimata l’anno scorso dalla Repubblica Popolare, ha pedaggi talmente esosi da essere disertata dal trasporto pesante che continua a ingolfare i transiti delle colline adiacenti. Le entrate prendono la via della Cina, tolta la royalty al governo giamaicano. Lo stesso avviene con le catene alberghiere all-inclusive, soprattutto spagnole. Il turismo genera quasi due miliardi e mezzo di euro annui, la maggior parte però non circola nell’economia locale.

Chinese highwau

La distruzione dell’ambiente dovuta ai lavori, estingue le sorgenti naturali che forniscono acqua alle aree rurali adiacenti, le più povere dell’isola. Anche il porto di Kingston è privatizzato dai cinesi che hanno in progetto un hub commerciale stile Dubai. Proliferano supermarket e gas stations, ma scuole e ospedali pubblici sono lasciati in uno stato di degrado perenne, mentre il liberismo fuori controllo affida sanità e istruzione a cliniche e scuole private, con rette altissime.

Solo gli stranieri residenti, e il 25% agiato della popolazione, possono accedere a questi lussi; la forbice dell’emarginazione ha penalizzato i ceti medio-bassi, anche per via del minimum wage (salario medio) che dal 2013 a oggi è aumentato da JA$ 5.600 a 6.200 (circa 50 euro) settimanali, a fronte di un costo della vita lievitato del 30% negli ultimi anni.

«Un paradiso per papponi, ecco quello che lei fu… merce esposta sul bancone». Paragonando l’isola a una bella prostituta, Bob Marley profetizzò il destino giamaicano, quando scrisse Pimper’s Paradise. Non visse abbastanza, per vederlo realizzato appieno.