Il segretario Nicola Zingaretti propone a Conte e agli alleati un «patto di legislatura» oltre le regionali del 26 gennaio. Qualsiasi cosa succeda. Il Pd si chiude in conclave in una abbazia, come da lunga tradizione dei governi di centrosinistra quando si trovano in condizioni non proprio solide per non dire traballanti, per allungarsi la vita. Qui siamo al Santo Pastore di Contigliano, nel reatino, bello e irraggiungibile, un po’ come l’obiettivo del seminario. Alla fine della prima giornata di lavoro è Andrea Orlando a spiegare il senso dell’appuntamento «Oggi per domani»: «L’orizzonte è una alleanza politica con M5s, anche dopo il voto», dice il vicesegretario, «È essenziale che questa alleanza si basi su obiettivi politici, su programmi non improvvisati e non velleitari».

Prima, segretario, vicesegretario e Dario Franceschini vengono visti salire con discrezione al piano superiore per fare il punto politico: il futuro del Pd passa comunque per il governo, è il senso del confronto, e se l’Emilia dovesse essere una sconfitta, il partito andrà al congresso, del resto già annunciato, ma senza mettere in pericolo il governo. Comunque qui tutti scommettono sulla vittoria.

DUNQUE DA QUI, OGGI pomeriggio, usciranno le proposte dem per quello che il presidente del consiglio Conte chiama «la maratona verso il 2023» e Franceschini «la fase 2». Ma il punto è che il Pd promette, per quello che lo riguarda, di garantire la stabilità del governo e di insistere nella proposta di ’alleanza politica’ oltre il guado dell’Emilia Romagna. Conte, da Ankara, è della partita: «Io posso auspicare, con tutto il rispetto dei processi di elaborazione e decisione interna, che questa esperienza di governo possa far nascere anche un processo politico sempre più definito».

LA GIORNATA ERA INIZIATA con un Franceschini sulla stessa lunghezza d’onda: «Il governo va avanti solo se il Pd lo sente proprio fino in fondo. E può essere incubatore di un’alleanza politica». Il proporzionale prepara il nuovo bipolarismo, spiega. L’affermazione sembra paradossale ma contiene una dose di realismo: «L’accordo elettorale ci aiuterà, nessuno vincerà da solo e prima si preparano le alleanze. C’è spazio per un Pd più largo che tenga aperti i rapporti con i 5 Stelle e apra ai moderati». Il «nuovo Pd», quello proposto dal segretario Nicola Zingaretti in una intervista su Repubblica, però è innominabile. Dal Nazareno si chiede di non anticipare la discussione congressuale. Disobbedisce il ministro della difesa Guerini, leader della corrente Base riformista, che avverte «di non tornare indietro», ai Ds intende.

MA QUESTA SARÀ un’altra storia, qui il punto è il governo a qualunque costo. Franceschini lo difende dalle critiche, soprattutto interne. La «discontinuità» fra il Conte 1 e il Conte 2, spiega, «c’è su tutto» e sostenere il contrario «è un’idiozia». E così sistema chi tira a sinistra e chi tira a destra. Sull’immigrazione, più precisamente sui salvataggi in mare, è la componente dei giovani turchi di Matteo Orfini a obiettare che «i decreti sicurezza sono ancora in vigore» e le multe alle navi delle Ong vengono ancora comminate. «Partiremo dalle osservazioni di Mattarella e poi il parlamento potrà intervenire», rassicura Franceschini. Poi però se la prende anche con i liberal che vogliono smontare le riforme care ai 5 stelle: «Il reddito di cittadinanza è stato fatto in modo sbagliato. Si può cambiare. Ma una battaglia nostra contro il reddito di cittadinanza è difficile da capire».

E PERÒ È UN’ILLUSIONE per il Pd pensare di cavarsela sbiadendosi. Lo si capisce per esempio dalla reazione delle sardine, invitate a un dialogo con Zingaretti e a loro volta pronte a dialogare. Ma quando si passa ai contenuti, il loro leader Santori dice che proprio sull’immigrazione «nel governo giallorosso non si nota discontinuità rispetto al modo gretto di fare politica di Salvini». Orlando chiede tempo e promette di «fugare questi dubbi».

Ma si può davvero senza un’iniezione di «radicalità» (parola che il nuovo Pd usa per evitare l’accusa di svoltare a sinistra)? «Se i figli di un lavoratore della logistica dicono al padre di una famiglia lacerata ’ci sei mancato’, come accade nel film di Ken Loach, dobbiamo dirci che a quel lavoratore siamo mancati noi», spiega il ministro del Sud Peppe Provenzano. E va bene aver mandato Salvini all’opposizione in parlamento, per l’eurodeputato Massimiliano Smeriglio, «ma non stiamo facendo abbastanza per combatterlo nella società».

NEL POMERIGGIO SONO cinque i tavoli che discutono dei temi concreti della verifica – lavoro, welfare, semplificazione, conoscenza e cittadinanza. A porte chiuse per dirsi la verità: l’alleato 5 stelle, in piena baraonda interna, non ha ancora una posizione chiara su molti provvedimenti. Sullo ius culturae, per esempio, «c’è una parte dei 5 stelle che è d’accordo con noi, un’altra no», ragiona il professore Stefano Ceccanti.

Oggi Zingaretti tirerà le somme. La verifica – anche una verifica senza rimpasto , per evitare di mettere in fibrillazione il governo – è un’operazione delicata. Sempre che si faccia davvero, e che il governo esca davvero indenne dalle regionali. Mancano 12 giorni all’alba.