Ore di preparativi per Roberto Giachetti. Ormai sembra deciso, anzi rassegnato: su richiesta – pressante – di Renzi, il vicepresidente della Camera si lancerà alle primarie del 6 marzo. Lo annuncerà entro la direzione del 22 gennaio, e avrà il crisma del candidato preferito dal segretario.
Così il Pd romano ha trovato il cavallo piazzato per la corsa dei gazebo. E poi, soprattutto, per quella vera del Campidoglio. Sulla quale il commissario Matteo Orfini ostenta tranquillità perché, spiega, «i sondaggi ci danno la possibilità di giocarcela, e fin qui siamo senza un candidato». Sottinteso: quando il Pd avrà il suo nome e comincerà a muoversi tornerà definitivamente in corsa contro i grillini.

In attesa che i sondaggi reagiscano secondo le aspettative democratiche, la partita più delicata nel Pd paradossalmente è un’altra. Riguarda la sinistra. Il crollo dei consensi seguito al disastro della vicenda Marino consiglia il gruppo dirigente di riportare i vendoliani nell’ovile delle primarie e di lì sul candidato vincente. Ma Sel ufficialmente appoggia Stefano Fassina, ex Pd oggi «alternativo» al Pd. Nel corso di una lunghissima riunione di segreteria ieri pomeriggio Nichi Vendola ha ribadito la vicinanza dei suoi all’ex viceministro, a cui pure in molti chiedono una correzione di rotta fuori dall’enclave della sinistra tradizionale.
Così stando le cose per il Pd l’unica strada utile a provocare un qualche ripensamento, almeno in una parte di Sel, è candidare un nome che peschi nell’area della sinistra. Sarà anche il messaggio unitario degli amministratori municipali di Pd e Sel che il 23 gennaio si ritroveranno al teatro Brancaccio.

Ma il nome ancora non c’è. Per essere un ponte a sinistra dovrà essere scelto fra chi a suo tempo si è schierato contro il commissario Orfini e a favore di Marino. Ma l’elenco è breve. Il senatore dissenziente Walter Tocci ha detto chiaro di non essere disponibile. La scelta cadrebbe fra Paolo Masini, renziano eterodosso, soprattutto molto vicino a Nicola Zingaretti, a sua volta schieratissimo a favore dell’alleanza con Sel; e Marco Miccoli, ex segretario del Pd romano, molto combattivo contro Orfini e soprattutto l’unico dirigente rimasto vicino a Marino.

Che resta ancora la vera incognita di tutto il campo del centrosinistra: l’ex sindaco in queste ore continua a mandare segnali della sua intenzione di candidarsi. Ma dal Pd, anche quello che non gli ha voltato le spalle, la richiesta è un’altra: quella di «mettersi a disposizione» della corsa alternativa alla maggioranza renziana. Fra i papabili dem c’è anche Roberto Morassut, veltroniano, vicino anche a Goffredo Bettini, ex assessore e da tempo «fustigatore» del Pd romano e con un buon dialogo a sinistra (ieri sera, non a caso, ha partecipato a una presentazione del libro del vendoliano Smeriglio); ma la sua corsa indebolirebbe quella di Giachetti.

L’incognita Marino pesa anche sulla sinistra. Che ieri appunto si è ricompattata su Fassina grazie ad una lunga riunione al vertice in cui Vendola ha messo sul piatto tutta la sua autorevolezza per fermare la faglia che si sta aprendo nel partito da Milano a Torino, Bologna, Roma e Napoli. O, più realisticamente per alleggerirne l’impatto. «Puntiamo tutto sull’apertura del processo unitario di Sinistra italiana e sul referendum costituzionale», è stato il ragionamento, «se Renzi depoliticizza il voto delle amministrative, perché mai noi dovremmo farne uno scontro fratricida?».

Così, spostando l’attenzione principale sull’assemblea del nuovo soggetto, in cui ormai Sel-Sinistra italiana ha il ruolo di locomotiva – il Prc non accetta di sciogliersi, L’Altra Europa deciderà il 17 gennaio come partecipare all’appuntamento – ieri Sel ha preparato il terreno l’ennesima quadra impossibile in vistra dell’assemblea di sabato: nessuno sarà escluso dal processo unitario a prescindere da come si sarà schierato alle amministrative, anche nei luoghi in cui il conflitto interno è più aspro. Divisi ma anche uniti, dunque. O viceversa.