Dunque. Ci sono uno svizzero, un bulgaro, un americano e un indiano. E no, non si tratta di una barzelletta.
Lo svizzero è un fotografo di talento e di esperienza internazionale, si chiama Stefan Schlumpf, ed è l’autore delle straordinarie immagini che corredano questo articolo – premiate durante l’ultima edizione dei Sony World Photography Awards. Soggetto: il più grande ghiacciaio delle Alpi Urane, nel cuore della Svizzera. Il ghiacciaio del Rodano. Una riserva d’acqua che si estende per una superficie di oltre quindici chilometri quadrati, fonte del fiume omonimo che sfocia nel lago di Ginevra, e che come i ghiacciai di tutto il mondo si sta spaventosamente riducendo mano a mano che il pianeta si surriscalda.
Stefan Schlumpf si è fermato a contemplare il ghiacciaio durante una giornata in montagna. Qualcosa di strano sulla superficie ondulata di ghiaccio e neve ha attirato la sua attenzione, fino a quando non ha realizzato che quello che stava osservando era un gigantesco patchwork di coperte bianche stese sulla superficie del ghiacciaio. Una scena surreale che Schlumpf, dice, gli ricorda l’immagine di un bambino in fasce.
Certo un accostamento insolito, che è poi diventato il centro di Hidden Landscape, la serie di scatti mozzafiato con cui il fotografo svizzero ha voluto raccontare il fragile ambiente del ghiacciaio alpino e lo sforzo dell’uomo per conservarlo. Già, perché gli oltre ventimila metri quadri di teli termici che coprono il tratto finale del ghiacciaio sono lì per una ragione precisa: schermare, per quanto possibile, la massa d’acqua congelata all’azione dei raggi UV che ne provoca lo scioglimento.
Da quando esistono testimonianze circa l’estensione del ghiacciaio, e parliamo della seconda parte dell’Ottocento, il gigante del Rodano è arretrato di un chilometro e mezzo nella valle che lo ospita. Misure più recenti confermano che solo nell’ultimo decennio il ghiacciaio si è ridotto in spessore di quaranta metri. La sua vicinanza alla strada che porta al passo della Furka lo rende facilmente accessibile ed è abbastanza conosciuto fra i turisti; la copertura artificiale riduce la fusione del ghiaccio di circa il 50% ma si tratta di una misura del tutto insufficiente a contrastare un fenomeno di riscaldamento globale che interessa l’arco alpino nella sua globalità. Alcuni studi scientifici parlano di scomparsa di quasi due terzi del ghiaccio perenne dal 1850 a oggi.
Nelle immagini di Stefan Schlumpf la tecnologia a forma di coperta anti-UV si integra alla perfezione col paesaggio ruvido delle Alpi Urane avvolgendo il fiume di ghiaccio come in un’opera d’arte di Christo e Jeanne-Claude, i maestri della Land Art.
Del bulgaro Christo Yavachev, statunitense di adozione, ha scritto in questi giorni il New York Times. L’autore di Floating Piers (la chiacchierata passerella galleggiante allestita sul lago d’Iseo la scorsa estate) celebre in tutto il mondo per le sue installazioni enormi ed effimere – i monumenti ‘impacchettati’ e le nature ‘velate’ da tessuti colorati – ha appena abbandonato un progetto cui ha dedicato vent’anni della sua vita e su cui aveva già investito 15 milioni di dollari di tasca propria: Over the River. L’opera avrebbe dovuto ricoprire di tessuto argentato non un ghiacciaio, ma il letto del fiume Arkansas in Colorado per decine di chilometri. Sarebbe stato uno dei più imponenti e ambiziosi progetti mai realizzati da Christo che, però, ha scelto di lasciar perdere in aperta opposizione all’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti: «Non posso fare un progetto che giova a questo padrone di casa».
L’americano Donald J. Trump non sembra dal canto suo manifestare alcun tipo di interesse nei confronti di proteste e oppositori. Tanto più in tema di cambiamenti climatici. Che si tratti del direttore dell’Earth Institute alla Columbia University Jeffrey Sachs o della rispettosa American Association for the Advancement of Science, poco importa. La strategia è fare orecchie da mercante e picchiare duro sugli ambientalisti più ingenui. Il Climate Action Plan? «Pericoloso e inutile». L’accordo mondiale sul clima siglato a Parigi? Da rivedere. Climate Change? Non ci sono prove concludenti sull’esistenza di un problema di riscaldamento globale.
Come rispondere?
L’indiano Aditya Bahadur, uno degli esperti in materia di sviluppo, cambiamenti climatici e rischio catastrofi oggi in forze all’Oxford Policy Management (ma anche all’Overseas Development Institute), per esempio è convinto che sia fondamentale smettere di insistere sulla validità di dati e previsioni scientificamente validati. Piuttosto c’è da iniziare a ragionare su quali benefici concreti una politica per l’ambiente possa portare all’agenda di lavoro del neopresidente Trump. Perché parlare di prospettive catastrofiche e riscaldamento globale proiettando le stime in un futuro (non si sa bene quanto) lontano, quando disastri naturali ed eventi direttamente riconducibili al cambiamento climatico incidono sull’1,6% del PIL mondiale? E che porta alla migrazione involontaria di milioni di persone e aumenta, di fatto, il rischio di conflitti e le minacce alla sicurezza nazionale?
Costi, immigrazione, guerra, terrorismo. Parole con cui i repubblicani hanno maggiore confidenza e, nondimeno, strettamente connesse al tema clima.
Riconoscete l’accostamento insolito? Sembra una grossa coperta adagiata sul fianco di un ghiacciaio.