Se da questa nuova grave crisi sorta intorno alla Spianata delle moschee di al Aqsa e della Roccia a Gerusalemme prenderà il via un’altra mini Intifada palestinese, con ogni probabilità sarà chiamata “Intifada contro i metal detector”. Le macchine per i controlli installate dalla polizia israeliana, su ordine dell’esecutivo Netanyahu, agli ingressi principali della Spianata dopo l’attacco armato di venerdì scorso – morti due poliziotti e i tre attentatori – potrebbero rappresentare la scintilla di qualcosa di ben più grosso degli scontri divampati lunedì notte nei quartieri di Issawiya, Silwan e Wadi el Joz: 50 feriti, 16 dei quali colpiti da proiettili rivestiti di gomma. Le proteste palestinesi per una misura che Israele descrive come «di sicurezza » e volta «ad impedire che si nascondano armi nelle moschee», si stanno facendo sempre più intense ed ampie. E non sono più limitate a quelle proclamate dalle autorità islamiche, Waqf, che chiedono di pregare fuori dalla Spianata e di boicottare i metal detector che, proclamano, rappresentano una violazione dello status quo. Ora coinvolgono anche le forze politiche palestinesi.

Fatah ha indetto per oggi un “Giorno della rabbia” nei Territori occupati esortando la popolazione a raggiungere le postazioni e i posti di blocco dell’esercito israeliano intorno alle città e ai centri abitati palestinesi. Jamal Muheisen, del Comitato centrale del partito, ha spiegato che è un «imperativo» difendere Gerusalemme e le moschee ed impedire che sia modificato lo status quo. Hamas e Jihad chiedono una escalation fino all’Intifada. Da parte sua Mustafa Barghouthi di al Mubadara si appella all’unità e alla mobilitazione. I palestinesi sono convinti che l’obiettivo reale di queste nuove misure di sicurezza sia quella di aprire la strada alla divisione della Spianata delle moschee tra musulmani ed ebrei, ossia arrivare a una soluzione uguale a quella presa nel 1995 per la Tomba dei Patriarchi di Hebron in seguito al massacro di 30 musulmani compiuto dal colono israeliano Baruch Goldstein.

Che sia questa l’intenzione di Israele può dirlo solo il premier Netanyahu – che mantiene una posizione di basso profilo sulla vicenda per non minare le relazioni dietro le quinte che ha stabilito con i petromonarchi sunniti del Golfo – ma i segnali ci sono. A cominciare dall’euforia dei gruppi messianici e “templari” israeliani, convinti che sia questa l’occasione propizia per passare il Rubicone e dare il via alla spartizione della Spianata, considerata dall’Ebraismo il Monte del Tempio biblico. Appoggiati da alcune delle forze politiche che fanno parte della maggioranza di governo e guardati con simpatia da alcuni ministri, gli attivisti di questi gruppi hanno intensificato le loro “escursioni” sulla Spianata. Due giorni fa – riferisce il sito degli ultranazionalisti religiosi har-habait.org -, alla presenza del deputato Yehuda Glick (Likud), storico attivista della ricostruzione del Tempio sulla Spianata delle moschee, si sono riuniti i rappresentanti di alcuni dei principali gruppi “templari” per fare le prossime mosse sul piano politico e della mobilitazione. È peraltro vicina la ricorrenza religiosa del Tisha b’Av (31 luglio-1 agosto), ossia il 9 del mese di Av, giorno di lutto e digiuno nel calendario ebraico che ricorda proprio la distruzione del Tempio. Da più parti si sottolinea che in questa giornata la tensione all’interno della mura antiche di Gerusalemme e intorno alla Spianata salirà al punto massimo e potrebbe sfociare in scontri tra poliziotti israeliani e palestinesi.

I test più immediati saranno però oggi e, ancora di più, venerdì quando migliaia di palestinesi musulmani si avvieranno verso le moschee per pregare e, con ogni probabilità, lo faranno in strada tra migliaia di poliziotti israeliani che verranno dispiegati intorno alla città vecchia di Gerusalemme.