Gerusalemme-Hebron. In queste due città, separate da poche decine di chilometri, si concentrano la nuova Intifada palestinese e la repressione israeliana. In poco più di un mese sono stati arrestati 1553 palestinesi, 2/3 dei quali nella zona araba (Est) di Gerusalemme e nel sud della Cisgiordania, in particolare nel distretto di Hebron. Il pugno di ferro tuttavia si sta rivelando un boomerang nell’area di Hebron dove ieri, nei pressi della cittadina di Halhul, un palestinese ha investito intenzionalmente e ferito un poliziotto israeliano e un colono. L’attentatore è stato ucciso subito e ad Halhul poi sono scoppiati scontri violenti tra gli abitanti e i soldati. A Gerusalemme la tensione è alta nel quartiere palestinese di Silwan dove da giorni i giovani protestano contro i blocchi stradali e i controlli di polizia che, denunciano, impediscono a tanti studenti di raggiungere le scuole nella zona di Ras al Amud. A Silwan ormai sono esplosivi i rapporti tra gli abitanti e i coloni israeliani insediati nel quartiere. Negli ultimi sei mesi, riferisce l’ong israeliana Ir Amin, i coloni dell’organizzazione “Ataret Cohanim” hanno intensificato le occupazioni di case nel rione di Bata al Hawa, rendendo sempre più precario il clima. Le ultime sono avvenute due settimane fa. Ir Amin denuncia i legami tra il governo di destra e Ataret Cohanim e sottolinea che il primo tour effettuato a Gerusalemme Est dal ministro della sicurezza Gilad Erdan è avvenuto proprio a Bata al Hawa dove sono a rischio 88 case palestinesi.

 

Non va meglio a Hebron, in particolare nella zona H2 controllata dall’esercito israeliano, dove, tra 20 mila palestinesi, vivono insediati circa 700 coloni ebrei giunti dopo l’occupazione militare nel 1967. Gli abitanti parlano di clima irrespirabile, di una pressione enorme esercitata dalle forze armate israeliane dopo gli accoltellamenti compiuti o tentati da palestinesi in queste ultime settimane. I coloni, aggiungono, che si sono fatti più aggressivi, soprattutto a Tel Rumeida. Qui l’esercito israeliano ha proclamato una sorta di “area militare chiusa” e due giorni fa ha impedito ad otto attivisti dell’International Solidarity Movement (Ism) di entrare nella casa dell’organizzazione e li ha costretti a lasciare la zona perchè “non residenti” in città.

 

L’area militare chiusa ha complicato la già difficile vita delle famiglie palestinesi di Tel Rumeida, che devono mostrare i documenti ai soldati israeliani ad ogni passaggio e talvolta restano bloccate in attesa per ore in strada. Chiunque non risulti in lista non ha la possibilità di entrare nella zona. «Oltre alla negazione di una piena libertà di circolazione si sferra un duro colpo anche all’economia – ci dice Pietro Pasculli, uno degli attivisti dell’Ism – I negozi palestinesi vicini alla moschea di Abramo sono costretti a rimanere chiusi. Lungo Al-Wakaleh street, i negozi tengono abbassate le saracinesche da venerdì scorso». Ben diverso, prosegue Pasculli «è il trattamento riservato ai coloni. I loro spostamenti in città non sono soggetti a controlli o limitazioni. I loro negozi sono gli unici ad essere aperti e frequentati dai turisti, quei pochi, che con coraggio scelgono di visitare Hebron».

 

Le tensioni sul terreno intanto sono arrivate ai vertici dell’Anp e dell’Olp. Ieri 18 esponenti del movimento Fatah hanno chiesto al loro leader e presidente Abu Mazen di convocare il Consilio Nazionale Palestinese (il Parlamento di tutti i palestinesi, in esilio e nei Territori occupati) per discutere dell’Intifada in corso e del rinnovamento ai piani alti delle istituzioni nazionali. Abu Mazen, contrario all’Intifada, fa i conti con il malumore di una parte dei dirigenti e della base di Fatah, oltre alle critiche del movimento islamico Hamas e dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Il Cnp era stato convocato per metà settembre ma Abu Mazen, di fronte alle proteste delle forze politiche di sinistra (e di settori di Fatah) per la frettolosa organizzazione di un appuntamento atteso da 20 anni, decise di rinviare la riunione a fine anno.