Il vento della tensione corre lungo i vicoletti della città vecchia di Gerusalemme e sulla Spianata della moschea di Al Aqsa. La ricorrenza ebraica del 9 del mese di Av – la distruzione nell’antichità del Tempio di Gerusalemme – farà convergere nell’area migliaia di religiosi ebrei legati all’ultranazionalismo e, come avvenuto negli anni passati, il rischio di scontri con i palestinesi è elevato. Gruppi della destra religiosa israeliana hanno anticipato che domani pregheranno nella Spianata di Al Aqsa il sito dove, secondo la tradizione biblica, sorgeva il Tempio di Gerusalemme. Da Gaza il movimento islamista Hamas ha fatto appello «ai giovani palestinesi eroici» a presidiare gli accessi della Città Vecchia già da questa sera per sbarrare la strada agli israeliani. Lo scorso 10 maggio, Hamas reagì alle cariche della polizia israeliana contro centinaia di manifestanti palestinesi sulla Spianata, sparando razzi in direzione di Gerusalemme. Israele a sua volta lanciò una prolungata campagna aerea («Guardiani delle mura») contro Gaza che in undici giorni è costata la vita a 260 palestinesi.

Come nei giorni di maggio quando, a dispetto dell’ampia mobilitazione palestinese per i fatti di Al Aqsa, gli sgomberi annunciati di decine di famiglie da Sheikh Jarrah e Silwan e i bombardamenti aerei su Gaza, l’Autorità nazionale palestinese (Anp) e il suo presidente Abu Mazen scelsero una posizione di basso profilo, anche per queste nuove tensioni da Ramallah giungono deboli segnali di vita. Abu Mazen appare concentrato sull’uso della forza contro i palestinesi che chiedono giustizia per l’oppositore politico Nizar Banat, pestato a morte da agenti dell’intelligence dell’Anp durante l’arresto lo scorso 24 giugno. A tenere occupati i vertici di Ramallah è anche la possibile (ma assai improbabile) ripresa del «negoziato con Israele».

Secondo il quotidiano Al Quds, il premier Muhammad Shtayyeh ha consegnato all’emissario Usa Hadi Amr un documento in cui riassume le richieste palestinesi per ripresa di negoziati con Israele. Tra cui spiccano il congelamento degli insediamenti coloniali israeliani, la fine delle demolizioni di abitazioni palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est, il congelamento dello status quo sulla Spianata di Al Aqsa e la revoca di tagli alle tasse e ai dazi che Israele raccoglie per conto dei palestinesi e versa mensilmente a Ramallah. Shtayyeh ha inoltre chiesto agli Stati Uniti di sostenere alcuni progetti di carattere economico in Cisgiordania. In questo quadro la viceministra degli esteri italiana Marina Sereni, nei giorni scorsi a Gerusalemme, ha esaltato «l’iniziativa congiunta» di Italia e Spagna per il Medio oriente che il ministro degli esteri Di Maio ribadirà a fine mese durante la sua visita ufficiale in Israele e Territori palestinesi occupati. Ma il nuovo governo israeliano adotterà una linea più flessibile rispetto a quella oltranzista di Netanyahu?

I segnali che giungono vanno nella direzione opposta. A cominciare proprio dalla colonizzazione. L’amministrazione civile israeliana in Cisgiordania ha spinto in avanti ulteriormente i progetti di espansione coloniale nella zona nota come E1, tra Gerusalemme Est e la Valle del Giordano, incurante della visita di Hady Amr in Israele e nei Territori palestinesi occupati. Grazie all’appoggio di Donald Trump, l’ex premier Netanyahu aveva avviato la costruzione di 3.412 appartamenti nella E1 allo scopo di tagliare in due la Cisgiordania e di impedire lo sviluppo contiguo di uno Stato palestinese indipendente. Il nuovo premier Naftali Bennett, sostenitore della colonizzazione ed oppositore dell’indipendenza palestinese, dimostra di procedere su quella strada pur sapendo che, ad eccezione di quella guidata da Trump, negli ultimi trent’anni tutte le Amministrazioni Usa si sono opposte allo sviluppo di quel progetto che, se ultimato, segnerebbe la fine di fatto della soluzione a Due Stati (Israele e Palestina). «Il governo Bennett afferma di aver aperto una nuova pagina con il mondo e i cittadini di Israele e invece promuovendo il piano nella zona E1 dimostra il contrario e ci riporterà alle politiche più pericolose promosse da Netanyahu».