Offerta della terza dose di vaccino a chiunque abbia superato i sei mesi dalla seconda, al di là della categoria a rischio; imposizione del tampone per tutti gli infermieri nelle case di riposo, vaccinati e guariti compresi (ma nessun obbligo di vaccinazione); e maggiori controlli sul rispetto della regola delle “3G”, equivalente del green pass, nei luoghi al chiuso.

Sono le tre misure per contenere la vertiginosa impennata dei contagi in Germania concordate ieri a Lindau dai ministri regionali della Sanità riuniti nel summit convocato d’urgenza dal ministro federale Jens Spahn. «Ci attendono settimane molto difficili. Vogliamo evitare nuovi lockdown ma dobbiamo assolutamente impedire il dilagare della quarta ondata accelerando soprattutto sui richiami» riassume Spahn snocciolando le peggiori previsioni matematiche: «Poiché lo 0,8% di persone appena infettate finisce in terapia intensiva dopo circa due settimane, con 40.000 contagi quotidiani dobbiamo aspettarci 350-400 pazienti nei prossimi giorni».

Non è una cifra a caso ma ormai il livello di contagio certificato dall’Istituto Robert Koch che ieri ha confermato 37.120 nuovi positivi (record dallo scorso aprile) con indice di infezione settimanale schizzato a quota 169,9 ogni 100 mila abitanti. Nel dettaglio a essere più vulnerabili sono sempre gli anziani della fascia 80-89 anni, seguiti dagli over-90 e dai 70-79enni: segno che le categorie più fragili non sono state ancora messe in sicurezza.

Numeri da paura per Spahn ma ancora prima per i tedeschi che ora in maggioranza, per la prima volta, si dichiarano favorevoli all’obbligo vaccinale, come rileva il sondaggio Infratest-Map secondo cui il 57% sarebbe d’accordo sull’eventuale imposizione.

E nonostante Spahn si sforzi di escludere nuove chiusure, il collega di partito Michael Kretschmer, governatore della Sassonia (il Land più colpito dalla quarta ondata) lo avverte senza giri di parole: «Se non riusciamo a fermare il boom di infezioni finisce che fra poco ci ritroviamo in lockdown come l’anno scorso».

Per questo non esclude di limitare l’accesso ai ristoranti nel suo Stato solo a vaccinati e guariti, ma non è l’unico a immaginare norme fuori dalla linea indicata dal ministro federale. In Baden-Württemberg il governo locale non considera più sufficienti i tamponi antigenici e studia l’obbligo di test molecolari mentre in Baviera il ministro della Sanità, Klaus Holetschek, chiede di rinnovare lo stato di emergenza sanitario che decadrà il 25 novembre.

Decisione unicamente in seno al futuro governo “Semaforo” che però, al di là della volontà di non prolungare l’emergenza a livello giuridico, stenta a trovare la quadra sull’accordo di coalizione: ieri i Verdi hanno tirato il freno a mano sui colloqui con Spd e Fdp per divergenze sulle misure pro Clima «non insormontabili ma comunque notevoli e tali da prolungare più del previsto i tempi delle trattative».

Stop inaspettato più che impattante sulla lotta alla pandemia: il governo Merkel resta in carica limitatamente agli affari correnti e non può varare alcuna misura politica ma solo provare a tappare i buchi della gestione sanitaria. Particolarmente fallimentare nei Land capofila dei contagi che non a caso coincidono con gli Stati con meno vaccinati. La Baviera, che durante la prima ondata impose le misure anti-contagio più stringenti, è riuscita a somministrare entrambe le dosi di farmaco solo al 64,8% degli abitanti, la Sassonia al 56,9% e la Turingia al 60,9%.

L’esatto contrario del Land di Brema dove risulta immunizzato il 78,8% dei residenti e si registra la minore crescita di infetti.