Mentre continua l’afflusso di profughi alla stazione centrale di Monaco (ieri circa 4300), si fa più intenso il dibattito pubblico intorno all’«apertura delle frontiere» annunciata l’altro ieri dal governo tedesco. Nella grosse Koalition cominciano i distinguo, e non sono di poco conto.

Il più clamoroso, quello di Max Straubinger, numero due del gruppo parlamentare della Csu, partito-fratello della Cdu di Angela Merkel nella ricca Baviera: contraddicendo quanto annunciato dalla cancelliera, l’esponente cristiano-sociale ha proposto che la Germania non accolga tutti i siriani, ma solo quelli che arrivano da zone «realmente pericolose». «Non ovunque in Siria si combatte. Aleppo non è Damasco», ha dichiarato Straubinger in un’intervista ai giornali del gruppo RedaktionsNetzwerk. Critiche anche in direzione del vicecancelliere Sigmar Gabriel, leader del partito socialdemocratico (Spd), per avere ipotizzato che la Repubblica federale possa accogliere ogni anno 500mila persone.

Evidentemente, la «pancia» conservatrice, soprattutto in Baviera, si fa sentire. E alla Csu non basta avere ottenuto un inasprimento delle condizioni di vita dei richiedenti asilo – al posto di una diaria riceveranno beni e il periodo di permanenza nei centri di prima accoglienza aumenterà –, né la dichiarazione degli stati dei Balcani occidentali quali «Paesi sicuri». Quello che il centrodestra bavarese vuole è che dal governo tedesco vengano mandati segnali diversi da quelli che hanno portato Merkel a diventare la beniamina di migliaia di siriani.

Ma i malumori non sono solo nei settori ostili all’apertura verso i profughi. Ieri ha alzato la voce anche la governatrice della Renania settentrionale – Westfalia, la socialdemocratica Hannelore Kraft, figura molto popolare nel suo partito. «Stanziamenti insufficienti», è il rimprovero che viene mosso a Berlino: i comuni e i Länder non hanno i mezzi sufficienti per dare attuazione ai propositi annunciati da Merkel e Gabriel.

Analoghe a quelle di Kraft sono le critiche che vengono mosse dalle opposizioni. Ieri al Bundestag è cominciata la discussione sulla legge di bilancio: occasione che Linke e Verdi non si sono lasciati sfuggire per denunciare l’«austerità» del governo applicata all’emergenza-profughi. «Se si vuole affrontare sul serio la situazione – ha affermato il capogruppo in pectore della Linke Dietmar Bartsch – l’esecutivo deve abbandonare la sua fissazione per il pareggio di bilancio».

Un grido di allarme che si può raccogliere anche da parte di chi è impegnato sul campo nell’aiuto ai richiedenti asilo: «Senza noi volontari, le amministrazione pubbliche da sole non ce la farebbero», dice al manifesto Sebastian Walter, giovane dirigente della Linke del Brandeburgo che l’altro ieri ha accolto i profughi giunti nel centro di raccolta di Eisenhüttenstad, cittadina al confine con la Polonia.

«Il governo ha tardato troppo a rendersi conto che cresceva il numero di persone intenzionate a raggiungere il nostro Paese, e ha deciso di aprire le frontiere ai siriani solo quando non aveva più altra scelta: i migranti sarebbero passati lo stesso, ma ci sarebbero stati caos e incidenti, con un grave rischio politico per Merkel», ragiona Walter. «Io ero ad Atene a sostenere Syriza lo scorso gennaio – ci dice ancora il militante della Linke – e posso dire che purtroppo la Germania è sempre la stessa: agisce solo per il proprio interesse».

Ci tiene a distinguere l’azione del governo da quella delle persone che stanno aiutando i profughi anche Julia Fritzsche, giornalista della radiotelevisione pubblica bavarese: «Alla stazione di Monaco in questi giorni ho visto gente comune, che si potrebbe definire anche “apolitica”, spinta all’agire solidale dopo i 71 morti in Austria e la foto del piccolo Aylan», ci riferisce.

«La logica che muove Merkel e Gabriel, invece, è un’altra: basta leggere le dichiarazioni degli industriali, ad esempio quelle del capo della Daimler, per capire che al nostro Paese servono nuovi lavoratori per mantenere alte le nostre performance economiche. E i profughi in arrivo dalla Siria sono ovviamente molto utili», argomenta Fritzsche.

La Germania «critica» non crede, dunque, a una cancelliera convertitasi sulla via di Damasco alla solidarietà. Anche se tutti le riconoscono una certa flessibilità nell’agire, la stessa di cui diede prova già in occasione della svolta sul nucleare dopo l’incidente di Fukushima. Quando, con un occhio ai sondaggi, capì che la maggioranza dei tedeschi era favorevole all’abbandono definitivo dell’atomo: pur avendo sostenuto il contrario fino al giorno prima, cambiò idea stupì tutti. E soprattutto: tolse agli avversari un pesante argomento polemico per la campagna elettorale a venire. Una mossa che si rivelò azzeccatissima.