Piomba sui tavoli di tutti i ministeri del governo Merkel il bollettino delle ore 17 dell’Istituto Robert Koch di Berlino: la più autorevole voce scientifica della Germania. Gli infettati dal Coronavirus nella Repubblica federale sono saliti a oltre 530. Ed è scattato l’allarme del direttore Lothar Wieler, primo responsabile della lotta al morbo che – secondo il New England Journal of Medicine – è stato portato in Europa da un bavarese di 33 anni residente a Monaco. «Dobbiamo fare tutto il possibile per rallentare la diffusione del virus. L’aumento del contagio è continuo» avverte preoccupato Wieler.

Per questo il ministro Cdu alla Sanità, Jens Spahn, deve ammettere pubblicamente a Bruxelles: «Come focolai, la situazione tedesca è esattamente come quella dell’Italia e della Francia». Da qui il divieto di export di mascherine che servono agli ospedali soprattutto della Bassa Sassonia, il Land più infettato dal Coronavirus, ma anche negli altri 15 Stati dove l’allerta medica è al massimo livello.

ANCHE SE I TEDESCHI non sembrano preoccupati eccessivamente, non solo a Berlino dove le abitudini non sono cambiate salvo rarissime eccezioni. Secondo il sondaggio diffuso ieri dalla tv pubblica Ard il 76% non è spaventato per il possibile contagio di ciò che il ministro federale della Sanità ha definito come «pandemia globale». Fiducia nel sistema sanitario nazionale per sei su dieci, e soprattutto in Spahn che gode del consenso record del 51%: il più alto mai raggiunto da un ministro della Sanità.

Eppure, proprio il sistema sanitario è sotto pressione come mai. E non tutto funziona come propagandato dal governo, anzi. Spicca l’incredibile denuncia del traduttore Micheal Kegler, 53 anni, di Francoforte che ha rivelato la falla perfetta per la diffusione incontrollata del morbo. «Ho fatto esperienza diretta di quanto seriamente le autorità dell’Assia stiano prendendo l’emergenza Coronavirus. Ho saputo solo attraverso i media del Portogallo che un autore con cui avevo lavorato era risultato positivo al test». Un tweet virale, accompagnato dal racconto di come ci siano voluti più di tre giorni prima che qualcuno si degnasse di eseguire il tampone anche su di lui.

DI FATTO, LE ISTITUZIONI restano concentrate principalmente sull’impatto economico del Coronavirus che sta facendo ammalare tutto il made in Germany. Il governo entro breve sarà costretto a stanziare centinaia di milioni di euro extra-bilancio a sostegno delle imprese, «sospendendo» (questo è il termine che circola in cancelleria) il tabù del debito-zero che impedisce alla Germania ulteriore deficit sui conti pubblici.

DEL RESTO I SEGNALI sono pessimi. La compagnia di bandiera Lufthansa ieri ha comunicato l’annullamento di oltre 7mila voli e il piano di riduzione nelle prossime settimane del 50% della capacità di trasporto: un disastro finanziario e un rischio concreto per i dipendenti se l’emergenza non verrà in qualche modo contenuta.

Difficile, se solo le chiamate telefoniche alla hot-line governativa sul Coronavirus (che coordina i medici nei 16 Land) solo lo scorso fine settimana ha raggiunto 140mila richieste di informazioni.

In parallelo, un po’ dappertutto, però la vita scorre come prima. A cominciare dalla capitale, e a partire dalle stazioni e dai convogli della metropolitana dove uno su cento indossa la mascherina e nessuno mantiene le distanze suggerite dal protocollo sanitario federale.

A Berlino rimane chiusa la scuola media del quartiere di Fredrichshain frequentata dalla studentessa che si è infettatata durante la settimana bianca in Alto Adige, ma per il resto nessuno fa eccessivo caso alla malattia che sulla stampa nazionale, fino ieri, era la terza notizia dopo la crisi greco-turca e la guerra in Siria.

DA OGGI PERÒ cambia tutto. Almeno nella narrazione del Coronavirus che ora verte ufficialmente sull’untore tedesco che ha propagato il virus cinese in Europa.