Il rilascio di uno dei sospettati dell’omicidio che ha innescato la caccia allo straniero a Chemnitz e il summit del governo che stabilisce la rimozione del capo del controspionaggio vanno in scena in contemporanea. Incastrandosi perfettamente come tessere dello stesso mosaico.

TRA BERLINO E LA SASSONIA si consuma il contrappasso dei due atti capitali della storia di sicurezza&razzismo che ha fatto tremare la Grande coalizione: Yousef A., detenuto da tre settimane a Bautzen, è stato scarcerato ieri pomeriggio su ordine della Procura locale; mentre chi si trova spalle al muro è il presidente dell’intelligence (BfV) Hans Georg Maassen, reo di avere negato il pogrom dell’ultradestra come di aver spifferato dati sensibili ai dirigenti di AfD.

La sua testa non cade del tutto: per lui si profila il «paracadute» del trasferimento al ministero dell’interno come sottosegretario di Stato. Così hanno deciso ieri Angela Merkel, il leader Csu Horst Seehofer e la segretaria Spd Andrea Nahles riuniti in cancelleria dalle 16 alle 18. Anche se la sorte di Maassen era già segnata dopo che, oltre i socialdemocratici, anche Mutti aveva scandito «Muss weg» (se ne deve andare).

Un avvertimento buono per placare i malumori della Spd, che fin da subito ha chiesto le dimissioni di Maassen, quanto utile a definire gli stretti margini di manovra rimasti a Seehofer, che ha continuato a difendere il funzionario anche dopo le prove dei suoi comportamenti tutt’altro che istituzionali. L’exit-strategy per il ministro bavarese corrisponde alla mossa per «salvare la faccia» concessagli dalla cancelliera: uscito dalla porta dei servizi, rientrerà nel giro della sicurezza dalla finestra del nuovo incarico al dicastero guidato dal leader Csu.

Al suo posto, il governo convergerà sul candidato più affidabile nella rosa dei nomi noti da oltre una settimana: il vicecapo del BfV, Thomas Haldenwang, il rappresentante dell’organo di controllo parlamentare, Arne Schlatmann, l’ex deputato Cdu, Clemens Binninger, oppure Beate Bube, capo del controspionaggio del Baden-Württemberg.

PROPRIO PER DEFINIRE le tappe della successione ieri alle 15 era iniziato il faccia-a-faccia tra Merkel e Seehofer, terminato con l’arrivo di Nahles. «Il caso-Maassen non sarà l’elemento di discordia fra l’Union e la Spd» ha sillabato la cancelliera, pronta a silurare il presidente del controspionaggio che le rema contro fin dai tempi dell’emergenza-migranti del 2015. Di recente, Merkel non ha digerito la sua negazione della «caccia» neonazista del 26 agosto che lei aveva denunciato pubblicamente; ancora meno le informazioni riservate del rapporto annuale BfV passate sottobanco due mesi prima al Gruppo parlamentare di Afd. Ha pesato, non poco, anche la pressione del presidente della Repubblica, Steinmeier, preoccupato per la deriva xenofoba della Germania. Da Helsinki l’altro ieri aveva esortato Cdu, Csu e Spd a «prendere rapidamente la decisione» ricordando la necessità di «un governo politicamente stabile».

A proposito di tranquillità sociale c’è da scommettere che il rilascio di uno dei sospettati dell’omicidio del 35 enne tedesco di origini cubane Daniel H. (il secondo, un siriano di 23 anni, rimane detenuto, mentre il terzo è irreperibile) alimenterà la protesta contro gli stranieri di Pegida e Afd.

Nell’ambiente monta già il mal di pancia perché «dopo un mese non c’è ancora nessun colpevole per l’uccisione di Chemnitz», la stessa che ha acceso la loro caccia all’uomo. Di peggio c’è che «ora non c’è più l’accusa contro Yousuf» come ribadisce il suo avvocato, Ulrich Dost-Roxin. E come se non bastasse, secondo l’ultimo sondaggio Welt, il 54% dei tedeschi è favorevole alla rimozione di Maassen proprio per la sua incapacità a proteggere la Costituzione dall’attacco dell’ultradestra.