L’incubo nero nell’ex lembo rosso della Germania. Per la prima volta i fascio-populisti di Alternative für Deutschland sono il primo partito nei sei Land della ex Ddr dopo il sorpasso sulla Cdu. La clamorosa realtà è stata fotografata ieri dall’autorevole sondaggio dell’istituto Infratest-Dimap per conto dalla tv pubblica Ard. Un’istantanea più che inquietante che restituisce il trend più temuto dalla maggioranza quanto dall’opposizione. Dal Mecleburgo-Pomerania alla roccaforte Sassonia, il 27% dei tedeschi è già pronto a barrare la croce di Afd sulla prossima scheda elettorale. Sono ben il 4% in più di chi è rimasto fedele al partito di Angela Merkel congelato a quota 23%, mentre la Linke vale il 18% e la Spd appena il 15.

Tradotto, significa che la lieve perdita di consenso dell’ultra-destra negli Stati dell’Ovest è stata ampiamente compensata dal boom nella Germania orientale. Anche che la “caccia allo straniero” a Chemnitz (negata ieri dall’intelligence federale), così come l’allarme dei servizi segreti della Turingia su Afd, hanno sortito l’esatto contrario dell’effetto immaginato.

Così, senza più anticorpi, la Bundesrepublik precipita nella spirale di odio e xenofobia alimentata – prima ancora che dai fascio-populisti – dal ministro dell’interno Horst Seehofer. Convinto che «l’immigrazione è la madre di tutti i problemi politici della Germania» come ha ribadito giovedì nell’intervista al quotidiano Rheinische Post. Una sparata in linea con lo sfascismo che il leader cristiano-sociale persegue dal giorno dopo l’insediamento del quarto governo della cancelliera Merkel, costretta a ribattere in tempo reale all’ennesima provocazione del “ministro della Paura” di Monaco.

«La penso diversamente: l’immigrazione presenta sfide e problemi ma ci sono anche i successi» replica “Mutti”, sempre più alle corde fuori e dentro al ring della Grande coalizione. Solo gli alleati Spd sembrano difendere la sua vecchia “Wilkommenpolitik”, peraltro naufragata nelle pagine del contratto di governo che dà luce verde ai famigerati “centri di ancoraggio”, allo stop ai ricongiungimenti familiari e alle espulsioni rapide.
«Seehofer è il nonno di tutti i problemi politici di Berlino» è la risposta del giovane segretario generale dei socialdemocratici, Lars Klingbeil. Mentre la Linke, per bocca del capogruppo Dietmar Bartsch, riassume l’ennesima baruffa tra democristiani ricordando come l’unica madre delle rogne del Paese rimangano «l’ingiustizia e le guerre nel mondo».

Poco importa al ministro Seehofer, il cui orizzonte politico restano le elezioni in Baviera fissate al 14 ottobre, dove si preannuncia il minimo storico dei consensi per la Csu “padre-padrone” del Land da oltre mezzo secolo. Lì si gioca la battaglia di sopravvivenza del partito cattolico ridotto ormai al 36%, schiacciato a destra da Afd (14% nella rilevazione Insa della scorsa settimana) e a sinistra da Verdi e Spd (rispettivamente 15 e 13%).

Fuori dall’agone della politica, riemerge il problema istituzionale. Da mesi, Afd si muove al limite del dettato costituzionale flirtando pubblicamente con i neonazisti e con i “patrioti” islamofobici di Pegida. «C’è una crescente erosione della linea di demarcazione tra i diversi gruppi dell’ultra-destra» denuncia Stephan Kramer, capo dell’antenna della Turingia del controspionaggio Bfv. Sul suo tavolo spicca il voluminoso dossier con dichiarazioni, post e tweet dei dirigenti di Afd. A partire dal responsabile della Turingia, Björn Höcke, che continua a negare l’Olocausto.