Contro la nuova centrale a carbone. Ovvero contro l’ipocrisia della Grande coalizione che sbandiera l’abbandono del combustibile fossile entro 18 anni, ma il 30 maggio ha acceso le caldaie dell’impianto più grande d’Europa in Nordreno-Vestfalia.

Da questa notte centinaia di attivisti di Fridays For Future, Ende Gelände, Greenpeace e Associazione per la conservazione della natura (Bund) assediano la centrale “Datteln-4” denunciando la «crisi climatica made in Germany» insieme alla propaganda non solo del governo Merkel. Hanno cominciato ieri alle 18.30 con la manifestazione partita dalla stazione dei bus di Datteln e hanno proseguito fino all’alba di oggi con la processione di candele, mentre la chiusura della protesta è prevista a mezzogiorno con gli interventi dal palco «politici e culturali».

Segue la ciclo-demo di 500 ambientalisti che domenica hanno invaso le vie del borgo di 34.500 abitanti vicino a Münster, scandendo slogan contro la centrale e proiettando sulla mega ciminiera il monito di Greta Thunberg: «Come osate?».

Pacificamente, rispettando le regole anche sul Coronavirus, eppure determinati a bloccare il “mostro” destinato a emettere da 10 a 13 tonnellate di CO2 oltre a una valanga di ossidi di zolfo. «Fermeremo la centrale, bloccheremo il suo avvio, e vinceremo questa battaglia» scandisce Luisa Neubauer, portavoce nazionale del Fridays For Future. Accanto a lei, gli attivisti di Ende Gelände (espressione tedesca per “qui e ora”) «disobbedienti contro il capitalismo per la giustizia climatica», impegnati fin dal 2015 nella lotta per la chiusura delle miniere di lignite nella ricca Renania come nella povera Lusazia. E perfino i minatori che denunciano «lo stop dell’estrazione del carbone e la perdita dei posti di lavoro per poi importare il combustibile per “Datteln 4” dalla Colombia» come rivela Sebastian Suszka, ex membro del consiglio locale dei lavoratori. L’ennesima contraddizione della svolta verde fuori e dentro la Germania. Perché formalmente il proprietario di “Datteln 4” risulta l’impresa tedesca “Uniper Kraftwerk” con sede a Düsseldorf, ma il vero padrone della centrale si chiama “Fortum”, colosso energetico pubblico controllato dal governo della Finlandia.

Proprio alla giovane premier di Helsinki, Sanna Marin, si rivolgono gli attivisti, puntando il ditto contro il «doppio-standard» del suo esecutivo progressista che «da un lato si vanta di guidare il cartello di nazioni leader del Clima mentre dall’altro esercita l’esatto opposto della leadership».

Come, peraltro, sottolineato dalle centinaia di ambientalisti già lo scorso 20 maggio con l’assedio delle undici rappresentanze diplomatiche finlandesi nella Repubblica federale.

«Se Stati ricchi come la Finlandia continuano a supportare il carbone, come ci si può aspettare che gli altri raggiungano gli obiettivi climatici?» si legge nella lettera spedita dal Friday For Future alla presidente Marin.

Accusa pesante, soprattutto alla luce del “Blutkohle”: «il “carbone insaguinato” che in Colombia viene estratto in condizioni disumane anche dai bambini», spiega l’attivista Christian Link, sottolineando come «per la prima volta» accanto agli ambientalisti siano scesi in strada anche i minatori attorno cui «è stata fatta terra bruciata».

È davvero una brutta storia il “caso” Datteln 4. Lunga almeno quanto il suo sviluppo progettato negli anni ‘50 e la costruzione tra il 1964 e il 1969, ben prima dell’ampliamento con il “blocco 4” inaugurato il mese scorso. Un autentico cancro che nonostante i sistemi di filtraggio introdotti negli anni ’80 ha continuato ad avvelenare i residenti con tonnellate di anidride solforosa, polveri sottili e metalli pesanti, come certificano le tabelle pubblicate nel Registro europeo delle emissioni inquinanti.