L’onda nera pronta a invadere, di nuovo, il centro di Chemnitz sabato prossimo. E la storia della vittima, nel cui nome i neonazisti hanno scatenato la caccia allo straniero domenica scorsa, che dimostra come il sicuro effetto sia completamente sconnesso dalla presunta causa. Daniel H., 35 anni, professione falegname, accoltellato cinque giorni fa durante una rissa con dieci persone, era tutt’altro che un fascista. Anzi, squadernando i suoi social emerge il profilo diametralmente opposto a chi ora cerca di trasformarlo nel martire tedesco ucciso dai barbari immigrati.

«Fuck Nazis!» è il logo che campeggia sulla sua pagina Facebook; «lavoratore antifascista» la sua bio su Twitter. Oltre alle proposizioni che restituiscono un pensiero impossibile da equivocare: «La nazionalità di una persona non importa; uno stronzo rimane uno stronzo» e «il terrorismo non ha alcuna religione». Basta e avanza per definire la figura del nuovo «eroe» dei nazi, che se fosse stato ancora vivo lunedì sarebbe stato tra i bersagli da colpire, non fosse altro per l’aspetto fisico che rispecchiava le origini cubane del padre.

Ma per i patrioti europei per la difesa dell’occidente (Pegida) e l’ultra-destra di Alternative für Deutschland la verità non fa alcuna differenza. «Sabato alle 17 tutti a Chemnitz per piangere insieme Daniel e tutte le altre vittime del multiculturalismo forzato» è l’appello lanciato ieri dal capo di Afd in Sassonia per mantenere i riflettori accesi sulla scena conquistata a suon di aggressioni ai migranti, minacce ai cronisti e bottigliate contro la polizia. Propaganda incisa sulla pelle degli stranieri, anche se Jörg Meuthen, eurodeputato ed esponente dell’ala “moderata” di Afd, nega qualunque responsabilità del suo partito. «Non abbiamo alimentato noi le fiamme dell’incendio» giura l’ex candidato governatore del Baden-Württemberg nel 2016; la miccia, secondo lui, è solo «lo stato d’animo presente nel paese». Corrisponde al leitmotiv di Afd come «interprete» del Volk furibondo con la cancelliera immigrazionista quanto con le istituzioni di Bruxelles che rappresentano un’Europa lontana anni-luce da quella immaginata da Pegida e compagnia brutta.

Target contro cui vale tutto, come prova la mistificazione di Daniel avvenuta fuori da ogni corrispondenza logica. Per il giovane falegname, Chemnitz era ancora Karl-Marx-Stadt, come ai tempi della Ddr. E la musica da suonare coincideva con i dischi che ascoltava insieme alla moglie e al figlio di sette anni: gruppi punk di sinistra come Slime, Rancid e Zusamm-Rottung di cui restano i «like» sui social ora mantenuti in vita dai suoi parenti. Tra i «mi piace», come se non bastasse, emergono anche i vecchi endorsement alle dichiarazioni dei deputati Linke Gregor Gysi e Sahra Wagenknecht, a fianco della condivisione della battaglia per «alzare la voce contro i nazisti».

Un dettaglio per i fascisti di Pegida, che si dimostrano – ancora una volta – pericolosamente incistati nel cuore delle istituzioni. Martedì sera il capo dei «patrioti», Lutz Bachmann, ha pubblicato sul suo account Telegram stralci del mandato di arresto della procura locale con nome e cognome del sospettato dell’omicidio di Daniel. Prima che il gruppo «Pro-Chemnitz» caricasse in rete due pagine ultra-riservate dello stesso documento come riporta il quotidiano Neues Deutschland. «Al momento ci risulta incomprensibile come possano essersi procurati le copie» ammette il ministero dell’Interno della Sassonia. Già nel mirino – proprio come il ministro federale Horst Seehofer – per il clamoroso default della polizia di Chemnitz che non si è dimostrata in grado di proteggere i cittadini dalla violenta caccia all’uomo lasciata sfogare per oltre due giorni.