«Mamma, anche un uomo può diventare cancelliere?». Basterebbe questa innocente domanda, formulata dal figlio di 9 anni di una cronista del Rheinischen Post (riportata dal magazine Cicero) a descrivere il clima elettorale a 24 ore dal voto federale. Riassume gli effetti del «ventennio» di Angela Merkel quanto la pura formalità delle urne tedesche, in cui l’esito appare già scritto da mesi.

Con 15 punti di distacco sullo sfidante Spd Martin Schulz, «Mutti» si avvia senza rivali al quarto mandato, prenotando anche un posto nella Storia.

L’UNICA INCERTEZZA del voto di domani si riduce al terzo classificato: l’ago della bilancia per una futura coalizione diversa dall’attuale di governo. L’ultima rilevazione restituisce la sola incognita di una campagna elettorale monocorde, noiosa e priva di sorprese.

Secondo l’istituto Gms di Amburgo, l’Union di Cdu-Csu conquisterà il 37% dei consensi, davanti ai socialdemocratici bloccati al 22% e ad Alternative für Deutschland – il partito anti-euro e anti-immigrati – a quota 10%: cinque punti sopra la soglia di sbarramento del Bundestag. Dietro si stagliano la Linke e i liberali di Fdp (entrambi al 9%) e i Verdi che valgono l’8%, mentre la galassia dei «partitini» si conferma ininfluente, non superando neppure sommati il 5%. Con questi numeri, ammessa l’attendibilità demoscopica, le uniche geometrie possibili sono una riedizione della Grosse Koalition Cdu-Csu-Spd e l’alleanza «Jamaika» tra cristiano-democratici, verdi e liberali: sole formule politiche per assicurare la maggioranza parlamentare fissata a 343 seggi.

L’ALTERNATIVA di Union più Fdp gode del placet delle lobby tedesche, tuttavia difetta di oltre il 4% dei voti, anche se – in teoria – per Merkel sarebbe l’alleanza più «sicura» con Afd secondo partito dell’opposizione ma privato del «bersaglio Schulz», icona della politica di Bruxelles. L’orizzonte rosso-rosso-verde (come in Turingia e a Berlino), invece, appare tramontato, salvo miracoli, al pari dell’unione tra Cdu e Verdi a imitazione del governo del Baden-Württemberg.

FIN QUI L’INCOMPATIBILITÀ matematica. Ma si rivelano difficilmente conciliabili anche buona parte dei programmi. L’Union democristiana è ormai il partito personale di Merkel, madre-padrona dei conservatori ancor più del mentore Helmut Kohl. Ha rottamato la linea nuclearista, «aperto le porte» ai rifugiati e imposto il voto di coscienza sul matrimonio gay, cui lei però ha votato contro. E ha ribadito che non vi sarà alcun tetto sull’arrivo dei profughi, con buona pace del leader Csu Horst Seehofer, il suo principale alleato.

MERKEL INOLTRE non appare disposta a sacrificare il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble né ad azzerare il Welfare come richiesto da Fdp. Tuttavia, entrambi i partiti sono filo-europei.
In parallelo aumenta la distanza con la Spd dopo la «correzione» ideologica di Schulz che ha abbandonato la linea dell’«Agenda 2010» (le riforme dell’ex cancelliere Gerhard Schröder) per tornare alla giustizia sociale e alla redistribuzione fiscale.

Problemi di coesistenza anche tra Grünen e liberali, con i primi che denunciano il nullo interesse per la questione ambientale da parte di Lindner, insieme al rifiuto di Fdp sulla tassa patrimoniale e alla sua linea morbida con la Russia di Putin.

A UNIRLI c’è la questione sicurezza e la revisione della «politica di benvenuto» di Merkel sui profughi. Sono gli stessi scogli che impediscono ai candidati Linke Sahra Wagenknecht e Dietmar Bartsch di avvicinarsi alla nuova dirigenza dei Verdi: i «realisti» Kathrin Göring-Eckhardt e Cem Özdemir, fautori della svolta a destra del partito ecologista.

Per i leader Afd Alexander Gauland e Alice Weidel invece nessuna speranza di alleanze, anche se l’obiettivo della destra xenofoba è davvero «storico»: la conquista del Bundestag.