Fiori, ossa, paesaggi: la pittura di Georgia O’Keefe racconta semplicemente in superficie, cambia nel tempo, risponde a istanze esistenziali mutevoli e a una personalità difficile. A fare il punto sul percorso artistico della grande pittrice statunitense ci ha pensato un’importante retrospettiva allestita recentemente al Centre Pompidou di Parigi; per l’occasione dall’editore francese Steinkis in collaborazione con la casa editrice del museo, ha commissionato una graphic novel biografica a Sara Colaone e Luca De Santis, uscita pochi giorni fa per Oblomov Edizioni. Ne abbiamo parlato con gli autori.

Come avete accolto la proposta? Qual è stata la “scoperta” più grande che avete fatto addentrandovi nella sua storia e quali fonti vi hanno guidato nella costruzione della storia?
SC: La grande retrospettiva che si è tenuta in autunno ha riportato l’attenzione del grande pubblico sulla pittrice americana, i cui lavori sono per la maggior parte in collezioni private, fondazioni e musei negli Stati Uniti. Visitando la mostra ho riscontrato un vivissimo interesse nella folla presente al centro Pompidou. All’interno di un allestimento essenziale i famosi fiori di Georgia spiccavano per qualità pittorica e il potere ipnotico dei paesaggi sembrava amplificato dallo sguardo stupefatto dei presenti. Pensando a Gorgia O’Keeffe, i fiori sono ovviamente la prima immagine che viene in mente, quel poco che io stessa conoscevo, insieme a una inedita e metafisica associazione fra ossa di animale, spazio aereo e vegetali. Ma l’universo espressivo di Georgia è fatto di tanti oggetti e luoghi, che sono diventati veri e propri topos della sua pittura. I paesaggi ad esempio: siamo partiti da quelli per cercare di raccontare una storia, una delle tante possibili che affollano la biografia lunghissima di Georgia, ma in un certo senso quella centrale: la storia di un debito intellettuale e artistico da cui la pittrice si è affrancata, il complesso rapporto col marito, curatore e artista Alfred Stieglitz. La nostra scoperta si è rivelata attraverso questo nodo delicato e scomodo, mentre cercavamo di dissipare le nebbie della favola femminista e della pruderie agiografica. Abbiamo trovato una figura di donna in continuo movimento e quasi atemporale, la cui forza è del tutto accessibile ma va ben oltre la superficie delle sue tele.

In questo senso è stata importante l’intuizione di Luca che ha associato al racconto della pittrice moderna quello del mito della dea Estsanatlehi, il cui nome per i Navajo significava “donna che si rinnova”. Al radicamento al territorio attraverso i miti dei nativi, all’essere interprete di una irrequietezza moderna all’essere portatrice di uno sguardo vòlto all’orizzonte che si riflette verso sé stessa- elementi fondanti della cultura americana- Luca ha associato il topos del patto col diavolo del Faust – Goethe era una delle letture predilette della coppia Stieglitz-O’Keeffe – per raccontare l’ambizione mai domata della pittrice e sottolineare l’enorme valore del pegno: la scintilla che scaturisce dal raro momento di vera comunione fra sé e la propria arte.

Tutti questi aspetti del racconto sono fioriti attraverso le letture di alcune delle numerose biografie a lei dedicate, come quella di Dawn Tripp o quella di Hunter Drohojowska-Philp, ai numerosi scritti e scambi che Georgia intratteneva con scrittori, artisti e amicizie vicine e lontane e  anche alle sue famose cause legali e ingiunzione che hanno contribuito a forgiare la sua immagine di persona “impossibile”. Il rapporto con l’immagine e le immagini di Georgia è stato coltivato su alcuni testi chiave, come l’introvabile catalogo curato da lei e dal suo ultimo assistente Juan Hamilton per Viking Press nel 1976, il volume Living Modern del Brooklyn Museum e il catalogo per la mostra del Centre Pompidou, oltre ai documentari del 1977 di Perry Miller Adato con la voce della pittrice o quelli di Allen Charlton. 

LD: Ho imparato a conoscere bene O’Keeffe durante questi mesi di pandemia, nello studio e documentazione per la sceneggiatura; prima di allora per me era la pittrice degli equivoci primi piani e dei sussurrati riferimenti sessuali. Conoscevo pochissimo della sua produzione durante il periodo nel Nuovo Messico e ancor meno dei suoi ultimi paesaggi aerei. Mi son chiesto come mai la mia educazione non avesse mai incontrato Georgia O’Keeffe o molte artiste moderne e contemporanee. La risposta è nella sua stessa storia, nelle difficoltà di ritagliarsi spazio, conquistare il proprio posto, nel rimettere inizialmente il proprio destino nelle mani di un uomo, nella ricerca caparbia della propria libertà a ogni costo. Lavorando al libro, ho scoperto un personaggio-specchio che ha rivelato quanto nudo fosse il re.

Georgia O’Keeffe rifiutava le interpretazioni di genere-a volte non solo quelle- del suo lavoro. Immagino non sia stato facile trasmettere le istanze e motivazioni di questa ritrosia, così come credo che il timore dell’artista fosse fondato, che sia ricordata principalmente come la pittrice dei fiori, ai quali viene associata, spesso banalmente, la sessualità femminile: credete che sia cambiata la percezione che il pubblico ha dell’artista? Come opera il vostro libro in questo senso?
S.C. Ogni epoca risponde con lo sguardo alle sue necessità. Negli anni ’20 l’interpretazione in chiave sessuale dei fiori di O’Keffe, rispondeva evidentemente a un bisogno di far coincidere l’opera con la donna e le sue abitudini, sullo sfondo di un’attitudine psicanalitica ormai di largo consumo (la psicanalisi era nata da poco più di vent’anni). In seguito certe immagini dei suoi dipinti furono adottate per promuovere la dimensione esplorativa-sensoriale del corpo femminile e la conseguente riflessione intorno all’evoluzione dei ruoli in alcuni ambiti femministi. A queste e molte altre interpretazione Georgia risponde con una delle sue lapidarie frasi – la stessa che mi ha guidato nelle scelte per questo graphic novel- provenienti dal suo catalogo per Viking: Colori e forme creano frasi molto più definite delle parole. Una delle molte cose che abbiamo scoperto lavorando su O’Keeffe è che, come tutti i grandi dell’arte, offre tanti livelli di lettura della sua opera, permettendoci di penetrarla attraverso una prima e più banale interpretazione, verso un  turbamento più profondo, fino a una forte e calma comprensione della natura interiore delle cose.

LD: Credo anche che negli ultimi tempi ci sia una tendenza nel rendere icona, manifesto, la vita di un personaggio storico -molto spesso femminile- attraverso semplificazioni e aderenze storicamente avulse. Semplicistico e didascalico, anche se sicuramente d’effetto, questo racconto può però risultare pericoloso perché disumanizza la persona per favorirne la caricatura, perdendo il legame empatico che dovrebbe attrarci. Si potrebbe raccontare Georgia O’Keeffe come la pittrice più quotata, emancipata artista femminista, o fiera donna bisessuale: non che nelle sue azioni non lo fosse, ma O’Keeffe ha lottato una vita intera per fuggire da definizioni che potessero limitarla. Rendere questa doppia valenza di pensiero e di azione, restituire anche le contraddizioni sue e del tempo in cui viveva, rispettarne l’autodeterminazione, è quello che abbiamo cercato di fare per preservare il più possibile la sua autenticità. Insopportabile a volte? Come tutti. Tendo a diffidare dei personaggi senza difetti e forieri di frasi motivazionali da maglietta o tazza di caffè.

Sara, hai inserito molte opere dell’artista, in modo più o meno palese, nelle tavole del fumetto. Come le hai selezionate? Anche la scelta dei colori, generalmente pastello, rimanda alle diverse tappe pittoriche?
SC: La biografia sugli artisti presenta il problema di come raccontare l’opera rispettandone l’integrità e la riconoscibilità. Non era interessante per me adottare uno stile che avvicinasse troppo il mio segno a quello di Georgia, non ci sarebbe stata interpretazione. Ho preferito ragionare su una sorta di riscrittura attraverso i codici del segno e del colore. Ridisegnare con il mio stile le opere più famose accanto a quelle meno note per il grande pubblico, ma non meno importanti, per non creare distanza fra il racconto che si sviluppa nel fumetto e quello che è intrinseco ai dipinti. Creare una diffusione di alcuni colori chiave, i rosa, i rossi, gli azzurri, alcuni grigi e bruni “distillati “ dalla pittura di O’Keeffe. Le opere così interpretate insieme ai suoi meravigliosi carboncini del 1915 sono stati usate in parte come momenti di transizione da una condizione oggettiva dal racconto a una condizione più metafisica. Quello che vediamo in questo graphic novel è una sorta di “scomposizione” analitica dell’arte di O’Keeffe.

Dal libro emerge il profilo di una donna abbastanza ostile, scontrosa e incomprensibile ai più, dominata da sentimenti contrastanti, primo tra tutti l’amore profondo per Alfred Stieglitz, dal quale provava comunque a prendere le distanze, anche dal ruolo che il fotografo e gallerista ebbe nel suo percorso artistico. Spesso contraddittoria (posa nuda per le foto di Stieglitz, ma accetta malvolentieri che esporle sia una forma di promozione del suo lancio come artista), Giorgia conquisterà un’autonomia spesso dolorosa e isolata: un personaggio più difficile di altri da raccontare?
SC: Giorgia visse a lungo, frequentò e amò molto. Fu una personalità artistica in grado di trasformare pratiche in uso nella propria cerchia in qualcosa di unico, indissolubilmente legato al proprio nome e così consegnato alla Storia. L’arte nella vita di Giorgia era un dispositivo totalizzante. In una visione di coinvolgimento totale nel rapporto con Stieglitz, fatto di commistione fra vita e arte, il nudo era uno strumento di approfondimento artistico che aveva poco a che vedere con la superficialità dei rapporti. Quando Giorgia capì che quel tipo di espressione sarebbe stata sempre ricondotta ai suoi aspetti più materiali, se ne distaccò, esplorando un territorio, quello dell’astrattismo, ancora poco frequentato. In quel territorio trovò un paesaggio (ancora il paesaggio) di pensiero a lei consonso, dove poter riorganizzare nei minimi dettagli la sua arte. Certamente non è facile raccontare questo tipo di austerità, questa totale dedizione all’arte e alle sue necessità, ma il mondo di Georgia ci affascina anche nelle sue forme più semplici, e grazie a una documentazione fotografica imponente su di lei e la sua cerchia (in parte conservata al Georgia O’Keeffe Museum di Santa Fe) siamo riusciti a ritrovare dei momenti della sua quotidianità in cui l’antipatia si rivela una maschera, anzi un gioco continuo di travestimenti e maschere sapientemente modellate per portare l’osservatore in luoghi, tempi e modi dell’anima. Se vogliamo questo gioco fa quasi parte di una tradizione, che nell’arte americana contemporanea trova la sua rappresentate esemplare in Cindy Sherman.

Svolse egregiamente l’ingrato ruolo del “genio”, che con la sua luce tutto illumina, ma richiede abnegazione, modestia e invisibilità, e il cui calore rischia di bruciare, come ben sanno le persone che in un modo o nell’altro l’assistettero. Un esempio della sua personalità: si dice che le sorelle Catherine e Ida, anch’esse artiste, vennero scoraggiate dal proseguire in quella ricerca, e si dice anche che a esserle amici prima o poi si sarebbe stati da lei querelati per futili motivi.

Tra Georgia e Alfred emergono anche questioni formali sulla loro ricerca artistica, nella costante tensione tra realismo e astrattismo, nel dialogo tra due forme espressive comunicanti. Ma invece di polarizzarsi, tutta l’opera di O’Keeffe si potrebbe leggere come un’indagine sul senso del limite, grafico e concettuale. Da questa prospettiva è più comprensibile il suo rifiuto delle interpretazioni, e la resistenza a essere catalogata? Serve da guida in questo senso il colophon di avvertenza che firmate?
SC: Il colophon è la traduzione di un testo presente sull’invito a una delle mostre della 291 Gallery, la galleria di Stieglitz sulla 5a Strada che fu porta di ingresso a New York di una nuova relazione fra artista e soggetto portata dal cubismo e astrattismo europei. Niente cocktail, niente recensioni formali, niente inviti speciale, niente “ismi”, niente giochetti […] In pratica: solo arte, nella sua più pura accezione e senza compromessi né intermediari. Alfred e Georgia amavano presentare così il proprio lavoro, avevano le idee piuttosto chiare sulla funzione dell’artista nella loro epoca.

LDS: L’invito è una vera e propria anticipazione, una dichiarazione d’intenti: mettere in discussione sé stessi e le proprie idee prima di iniziare a leggere, cercare di far tabula rasa per avvicinarsi alla storia e alla personalità di Georgia O’Keeffe.

L’interesse per la soglia si materializza nella rappresentazione ossessiva della porta del suo ranch nel New Mexico e anche nei teschi e negli scheletri, che sostituirono i fiori, quando si stabilì nel deserto. Respingendo fermamente l’interpretazione che li associava alla morte, l’artista diceva che erano pieni di vita (di nuovo, la soglia e il limite). Un teschio, nel vostro lavoro, diventa un personaggio? Quale funzione ha e come è nata l’idea?
LDS: Quella porta è sempre stata l’ossessione di O’Keeffe che l’ha raffigurata in tantissimi suoi quadri: attratta dai paesaggi, quelli ampissimi che solo il deserto può regalare, dove l’occhio si smarrisce e vola, diventando addirittura aerei: ecco, l’idea di un “oltre” buio, non visibile, non concepibile, diventa forse il suo limite e mistero. 

La porta è l’elemento cruciale che la porterà a trasferirsi in Nuovo Messico, mai scoraggiata in quel viaggio verso l’essenziale, la comprensione, l’autenticità. Un viaggio che evita il superfluo e il superficiale, che attraversa la pelle, i muscoli e arriva alle ossa, allo scheletro, a ciò che ci sostiene. 

Come possono raccontare quindi la morte quelle luminose, bianche ossa, monumentali e sacrali? Ma attraversare quella soglia, seguire questo viaggio può essere così difficile e doloroso che forse davvero solo un patto con il diavolo può aiutarci.