L’ultimo assalto alle urne è arrivato. Oggi la Georgia vota per i suoi due senatori, ultimo capitolo della convulsa battaglia elettorale che ha scelto Joe Biden come presidente e obbligato al ballottaggio lo stato del Sud – nessuno ha superato il 50% richiesto al primo turno. In gioco c’è il controllo dell’intero senato americano, oggi diviso 50-48 per i repubblicani.

IL SENATO RATIFICA I TRATTATI internazionali, dal clima al commercio, e ha potere di veto su ogni dirigente federale, dal capo della Cia a quello del Fbi passando per ogni articolazione del potere proposta dalla Casa Bianca. È una posta enorme. Che giustifica la demolizione di ogni record in fatto di finanziamenti elettorali: ognuno dei quattro candidati ha raccolto più di 100 milioni di dollari nell’ultimo trimestre, sbriciolando il primato precedente di 57,9 milioni del democratico della South Carolina Jaime Harrison. Vada come vada, sono già le elezioni più costose della storia americana.

È un assalto alle urne vero e proprio. A capodanno i dati ufficiali segnalavano quasi 3 milioni di voti già espressi. E da settimane i partiti non pagano più per i sondaggi – quelli dei media parlano di mezzi punti a favore dei democratici.

DIECI MILIONI SCARSI di abitanti, ultima colonia fondata da Giorgio II – da cui il nome – , è un tipico stato del Sud: bassa densità abitativa, agricoltura come fonte di reddito, abitanti in larga maggioranza evangelici e robustamente conservatori. Ma questa volta, dopo trent’anni di appoggio ininterrotto a presidenti repubblicani, per la Casa Bianca ha vinto il democratico.

Pessimo auspicio per i due senatori uscenti, che sono trumpisti da manuale. Kelly Loeffler si definisce la parlamentare più conservatrice del senato e il record dei suoi voti è il più trumpiano di tutto il Grand Old Party. Ha 50 anni, è la prima donna senatore in Georgia (non eletta ma nominata: la scelse il governatore repubblicano Kemp dopo le dimissioni del predecessore), è scandalosamente ricca, suo marito è il presidente della Borsa di New York, Jeffrey Sprecher – 10 milioni di dollari per la campagna sono suoi. David Perdue è un manager 70enne per anni a capo di Dollar General, una grande catena di supermercati, dove è riuscito nell’impresa di dimezzare il fatturato moltiplicando per trenta le cause per discriminazioni di genere, di razza e di stipendio – soprattutto quest’ultimo, il wage theft, furto di salario.

DOLLAR GENERAL offre prodotti low cost a prezzi ancora più low, che ottiene assumendo meno gente possibile e con salari così straordinariamente bassi che nella sola Georgia 1.400 dipendenti ricorrono ai buoni pasto per poter mangiare. Prima di lasciare l’azienda per il senato assunse alcune migliaia di “manager”: tutti normali dipendenti, ma come manager non avrebbero avuto gli straordinari – seguì pioggia di cause, circa 2.000. È anche il primatista assoluto di operazioni di borsa tra i senatori: oltre 2.500 compravendite nell’arco del mandato, sempre sul filo dell’insider trading.

 

Il reverendo Raphael G. Warnock

 

Contro di loro, i democratici Raphael G. Warnock e Jon Ossoff. Giornalista e produttore, Ossoff è un astro nascente. Portaborse di un deputato democratico, per un pelo non lo è diventato lui stesso in una special election (le elezioni per sostituire un parlamentare che lascia) serratissima nel 2017, la più costosa campagna di tutti i tempi per un posto alla Camera – e lui, con 23 milioni di dollari, era quello ricco. Lo appoggiò persino Bernie Sanders.

Per il senato, Ossoff ha replicato il modello e con 106,8 milioni di dollari raccolti nell’ultimo trimestre è diventato il candidato meglio finanziato della storia del senato. A 33 anni sarebbe un senatore giovanissimo e il suo profilo politico è quello di un Biden giovane, progressista con juicio, lontano dall’ala sinistra ma anche dai dixiecrat, i terrificanti e ultraconservatori democratici del Sud.

IL REVERENDO WARNOCK è da quindici anni il parroco della chiesa battista di Ebenezer – quella che fu di Martin Luther King, dove il suo corpo venne portato nell’aprile del ’68 il giorno dopo l’assassinio. Come l’illustre predecessore, il pastore Warnock non è un tipo silenzioso. Temi preferiti, la sanità per tutti e la registrazione degli elettori delle minoranze, argomento quest’ultimo di scottante attualità.

Nel suo piccolo, in Georgia è stato replicato il modello elettorale generale del paese. Quindi, criminalizzazione di ogni minima istanza progressista – senza risparmio di fake news, come questa: «Warnock ha ospitato nella sua chiesa il dittatore comunista Fidel Castro», buonanima. Quindi, tentativi plurimi di annullare il voto con le scuse più surreali – sia Perdue che Loeffler hanno appoggiato fino all’ultimo i tentativi di Trump di capovolgere le elezioni per via giudiziaria. Quindi, sforzi enormi della destra per estromettere precise fasce di popolazione – con grande fantasia, ad esempio cercando di bandire dai registri elettorali chi non avesse un’automobile targata Georgia (la democrazia a motore ancora ci mancava).

NON È IL VOTE FRAUD il problema della Georgia, è il vote suppression. Un’inchiesta del giornalista investigativo Greg Palast e più recentemente un editoriale dell’inossidabile Jesse Jackson hanno denunciato la purga di circa 200mila nomi dai registri elettorali dello stato, dopo “controlli” sulla residenza effettuati da una ditta del Nebraska che ha 1 (un) dipendente.

Epurazione di neri, giovani e persone a basso reddito, dice la denuncia presentata da Black Votes Matter e altre sigle. Il tribunale ha negato la reintegrazione immediata, chiedendo però al segretario di stato georgiano Brad Raffensperger di incontrare i ricorrenti per rispondere ai loro rilievi. Raffensperger si è ben guardato dal farlo.

Nel 2018 la democratica nera Stacey Abrams perse per soli 50mila voti contro il governatore Brian Kemp. Due mesi fa il senatore uscente Perdue ha mancato la soglia del 50% di circa 13mila voti. Biden ha vinto la Georgia per 11.800 voti. Duecentomila elettori scomparsi sono un’enormità.

E oggi si vota.