Signori si nasce, commendatore o cavaliere si diventa. Quando George Martin nasce, a Londra, ai primi di gennaio del 1926 la sua famiglia non è particolarmente facoltosa anche se quando lui ha sei anni in casa arriva un pianoforte. Impiega un po’ di tempo a convincere i genitori che potrebbe imparare a suonarlo prendendo lezioni. La spunta, ma solo per otto sedute perché mamma litiga con l’insegnante. A quel punto non gli resta che insistere da solo.

Nel frattempo cambia diverse scuole, ma è un bravo studente. C’è la guerra quando Sir Adrian Boult porta la BBC Symphony Orchestra alla Bromley Grammar School per un concerto dal vivo. George è tra il pubblico. «Magico» ha poi commentato, durante l’ascolto è affascinato e turbato da un aspetto apparentemente contraddittorio: associare l’idea di tanta magnificenza sonora con novanta persone che soffiano aria in strumenti di ottone o che passano un archetto di peli di cavallo sulle corde di uno strumento di legno.

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Martin e McCartney

Per quanto George sogni di diventare il nuovo Rachmaninoff, la guerra lo riporta alla realtà. Lavora prima presso l’amministrazione dell’esercito, poi a diciassette anni viene arruolato in marina ma senza essere coinvolto in combattimenti. Viene congedato nel 1947 e come veterano è facilitato nel poter frequentare il conservatorio per tre anni, studiando piano e oboe. Gli torneranno utili. Diplomato lavora prima al reparto musica classica della BBC, poi diventa assistente di Oscar Preuss presso la Parlophone, casa discografica collegata alla EMI. E dopo cinque anni diventa lui il boss, ma non è che sia granché, realizzano solo qualche disco di musica classica, barocca e musica popolare.

Oltre a registrazioni di spettacoli. Prima è Peter Ustinov, poi sono parodie con Peter Sellers mattatore. La noiosa Parlophone produce profitti con Martin che lavora con un’infinità di attori, ma il suo sogno è fare il botto con il rock’n’roll.

Un amico gli parla di Brian Epstein che ha un gruppo rock, peraltro già scartato dalla Decca. Martin comunque incontra Brian il 13 febbraio 1962, ascolta il demo realizzato per l’etichetta, lo trova modesto, ma è incuriosito dal canto di Lennon e McCartney. I due si incontrano di nuovo negli studi di Abbey Road il 9 maggio, l’entusiasmo di Epstein è tale che, pur riluttante, Martin acconsente di fare una registrazione con The Beatles, non prima però di avere fatto un’audizione. Il 6 giugno allo studio tre i quattro si presentano per il provino. Martin non c’è, li ascolterà a fine sessione.

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La cosa non sembra funzionare, il batterista Pete Best è ritenuto inadeguato e le canzoni non sembrano granché. In compenso Martin parla coi tre personalmente e chiede se ritengano ci sia qualcosa che non va. Harrison gli dice «la tua cravatta, tanto per cominciare», da quel momento è sintonia, battute a raffica e divertimento per tutti.

Così, finalmente, il 4 settembre registrano How Do You Do It che ha composto lo stesso Martin, convinto possa diventare un successo. Ma i Beatles chiedono che non venga distribuito perché vorrebbero registrare una loro canzone.

Così la settimana dopo registrano Love Me Do, con Andy White alla batteria mentre l’uomo chiamato a sostituire George Best, Ringo Starr, si limita a tamburello e maracas. 17° posto in classifica. Il 26 novembre, dopo che Lennon e McCartney lo hanno supplicato Martin acconsente alla registrazione di Please Please Me, dando solo l’indicazione di accelerare il ritmo.

A fine sessione George Martin è talmente convinto che dice ai quattro «signori, avete appena realizzato il vostro primo disco da numero uno in classifica». L’aspetto curioso sta nel fatto che Please Please Me scalza dalla classifica proprio How Do You Do It versione Gerry and the Pacemakers.

Un sodalizio saldissimo mantenuto per tutta la carriera discografica dei Beatles con una sola eccezione. E gli aneddoti si inseguono. The Beatles non leggevano la musica, era George che ascoltava e trascriveva, a suo tempo ha anche suggerito un editore onesto a Epstein.

Quando Paul porta Yesterday l’idea è quella che lui la canti accompagnandola solo con la chitarra. Martin suggerisce di aggiungere un quartetto d’archi. La replica secca «ma no, siamo un gruppo rock». Martin insiste «proviamolo, se non funziona si torna all’idea dell’assolo».

Dopo aver provato la versione Martin i Beatles sono folgorati (lo siamo ancora 50 anni dopo) e Paul va in giro a raccontare a tutti della genialità di Martin. La tromba di PennyLane, l’ispirazione a Psyco di Hitchcock-Herrmann per Eleanor Rigby e mille altre sperimentazioni.

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Martin era un genio della registrazione e dell’arrangiamento, le sue idee hanno segnato la musicalità dei Beatles e del pop, ma non ama pavoneggiarsi al punto che ebbe modo di dire «senza i miei strumenti e i miei arrangiamenti davvero molti dei dischi non avrebbero avuto quel suono. Non saprei se avessero potuto averne uno migliore. Forse sì». Forse il londinese commendatore e cavaliere George Martin era già nato signore, solo che non lo sapeva.