Poche opere mostrano come le scienze sociali siano la forma contemporanea della teoria politica al pari della Sociologia di Georg Simmel. Quanto mai opportunamente essa viene quindi riproposta (Meltemi, pp. 924, euro 40) con una approfondita introduzione di Massimiliano Guareschi e Federico Rahola. Pubblicata per la prima volta nel 1908, essa non rappresenta solamente un passaggio fondamentale all’interno dell’opera simmeliana, né soltanto si limita a indicare sistematicamente gli elementi della scienza nuova che sta scuotendo la gerarchia consolidata delle discipline scientifiche. Come pochi altri classici, la Sociologia di Simmel mostra che studiare la società significa allo stesso tempo stabilire le coordinate di un discorso sulle regole di convivenza e di potere che presiedono ai rapporti tra gli individui che in essa vivono. Il suo scopo ultimo è quindi intimamente politico.

NEL MOMENTO in cui la società diviene «la portatrice di ogni accadere storico», cambia in primo luogo la definizione dell’individuo che il pensiero politico moderno aveva assunto come astratto presupposto di tutto il suo discorso. Questa definizione evidentemente non scompare, e nemmeno perde improvvisamente la sua efficacia politica, ma accanto a essa se ne afferma un’altra grazie alla quale l’uomo della società non è semplicemente un essere sociale, ma un essere che viene costantemente costituito all’interno del processo di associazione che configura la stessa società. È dunque sociologico, e quindi degno di indagine sociologica, ciò che forma la società.

La sociologia simmeliana è una scienza che si occupa delle «interazioni» tra gli individui, concetto che in questa traduzione viene spesso reso con «azione reciproca» per rendere ancora più evidente l’effetto attivo che esse finiscono per produrre. Questi movimenti sono per Simmel il vero oggetto della sociologia, per la quale non a caso utilizza l’analogia con la geometria per sottolineare l’indifferenza rispetto ai contenuti che la dovrebbe caratterizzare. Proprio per questo, lo stesso rapporto di potere non viene inteso come un rapporto totale, ma come una relazione in cui viene messa in gioco solo una parte della personalità.
Esso è il risultato di un’azione reciproca e, in ultima istanza, di una cooperazione tra il titolare del potere e i dominati. Simmel può giungere ad affermare che persino il dispotismo più assoluto dimostra che, mentre il despota è costretto a impegnare tutta la propria personalità, i suoi sottoposti possono permettersi di concedergli solo dei frammenti della loro e, proprio per questo, gli si oppongono come una massa che solo per lui è indifferenziata.

SI TRATTA DI UN CASO limite ma tutt’altro che insignificante, perché dimostra che per Simmel il potere non è mai un dominio incontrastato, ma una relazione che appare in tutta la sua evidenza proprio nel caso del conflitto. Il contrasto non rivela la scissione dovuta a interessi differenti o a inconciliabili scelte soggettive: in esso è sempre in primo piano il movimento di riconfigurazione della società. La lotta non è mai l’espressione di un’antitesi inconciliabile, ma l’annuncio della possibilità di trovare una mediazione ulteriore rispetto all’antitesi presente. Proprio per questo, Simmel riconosce un ruolo assolutamente positivo all’antagonismo, che funziona come motore interno della società permettendo di superare le gerarchie e le stratificazioni che si formano al suo interno. Il ruolo positivo assegnato al contrasto non implica un giudizio positivo sulla natura umana, che continua a essere considerata a partire da un realismo morale, quanto piuttosto la convinzione che in qualche modo la società stessa lo produca per garantire la sua stessa riproduzione.
Non esistono per Simmel figure che, per la specifica posizione che occupano, possano negare la continuità di questo processo. Ciò è evidente nell’analisi del povero e in quella dello straniero, che sono ancora oggi un riferimento ampiamente presente per indagare l’impoverimento e le migrazioni all’interno della società neoliberale.

IL POVERO non rappresenta un’interruzione nel processo di associazione; egli fa comunque parte di una società che, quando si cura di lui, non lo fa per rispondere a un suo diritto particolare, quanto piuttosto perché il «diritto all’assistenza rientra nella stessa categoria del diritto al lavoro e del diritto all’esistenza». Per quanto tali diritti possano essere riconosciuti da un punto di vista morale, ben più rilevante è il fatto che l’assistenza viene prestata non considerando la condizione del povero, ma quella della società. Il povero è così una sorta di «stazione intermedia» in un cammino che la società compie per tornare a se stessa, utilizzando «mezzi pubblici per fini pubblici». Non c’è mai in Simmel un eccesso di differenza che la società deve governare per garantire la sua tenuta. Ogni processo si compie sempre al suo interno, senza pensare che sia possibile un aumento di complessità tale da produrre contraddizioni insanabili. Non ci sono figure sociologiche in grado di rompere questo assetto.
«Lo straniero è un elemento del gruppo stesso, non diversamente dai poveri e dai molteplici “nemici interni” – un elemento la cui posizione immanente e di membro implica contemporaneamente un di fuori e un di fronte». Poiché tutte queste figure entrano comunque nella configurazione societaria, governo significa controllare l’ordine delle distanze che essi stabiliscono.

LA STESSA sociologia, come appariva dall’analogia inziale con la geometria, sembra essere per Simmel la scienza di queste distanze. Per lui non è certamente il territorio a conferire significato alle figure sociologiche che abitano lo spazio. Anzi, si può dire che in Simmel la cesura tra territorio e spazio politico e sociale è già pienamente annunciata. L’azione reciproca degli uomini per lui è concepibile soprattutto come un modo di riempire lo spazio.
Le relazioni altro non sono che processi che riempiono e animano uno spazio, il quale diviene così la figura fondamentale grazie alla quale ogni contrasto può essere ricomposto. Le interazioni non vengono pensate in vista della loro intensificazione temporale, cioè nel punto che segnalerebbe l’esistenza di un’inconciliabile antitesi, ma della relazione spaziale tra due posizioni che vivono all’interno del proprio limite. L’azione reciproca è dunque anche una delimitazione reciproca, perché per Simmel il limite non è un «fatto spaziale con effetti sociologici, ma è un fatto sociologico che si forma spazialmente».
Nonostante l’accusa che viene loro spesso mossa, il discorso delle scienze sociali, e della sociologia in particolare, non mira a spoliticizzare i rapporti tra gli individui, ma è la teoria storicamente determinata di una specifica politicizzazione che ha trovato la forma più evidente nello Stato sociale democratico.

È CERTAMENTE VERO che essa ha seguito traiettorie diverse e talvolta divergenti. Max Weber, per esempio, trovava inaccettabili alcuni aspetti della metodologia del suo amico Georg. Gli sembrava che indulgere costantemente all’uso di analogie impedisse di chiarire i nessi causali che determinano i fenomeni sociali. Il concetto stesso di interazione era per Weber troppo indeterminato per cogliere il contenuto di dominio presente all’interno di un rapporto di potere. A Simmel, tuttavia, non interessa il rapporto verticale che si può instaurare tra il dominante e il dominato, ma appunto l’azione reciproca che li unisce. Per lui la società è la risultante di relazioni anche conflittuali, ma comunque sempre passibili di una ricomposizione complessiva.
Nonostante la società neoliberale tenda a sanzionare i suoi «nemici interni» e a produrre posizioni di dominio, questo schema di comprensione continua a essere riaffermato con la forza di un potente anacronismo. Ancora oggi al concetto di interazione viene riconosciuta una centralità che sfida la critica weberiana.
L’approccio spaziale ai rapporti politici e sociali, infine, oltre a dare conto delle disomogeneità presenti nella geometria della società-mondo, serve anche a separarli e gerarchizzarli. Ottimi motivi per tornare sulla sociologia di Georg Simmel.