Dopo molti secoli è ancora il grano a determinare la sicurezza alimentare della popolazione mondiale. La guerra tra Russia e Ucraina, che detengono importanti quote di produzione e sono tra i principali esportatori mondiali, ha fatto riemergere il ruolo strategico che gioca questo cereale che da solo fornisce il 20% delle calorie consumate dagli esseri umani. Il grano rimane il motore del commercio alimentare e ogni crisi ha ripercussioni a livello globale.

SECONDO LE STIME, IN QUESTO PERIODO le scorte di grano sono ai minimi da 5 anni e si teme che le quantità disponibili non siano sufficienti a soddisfare la crescente domanda dei prossimi mesi. Il conflitto in corso sconvolgerà ulteriormente il mercato del grano, perché i territori che si affacciano sul Mar Nero sono importanti aree produttive di diverse varietà di frumento.

MANCANO ANCORA 4-5 MESI AL PROSSIMO raccolto estivo, che risentirà delle condizioni climatiche sfavorevoli registrate in nord America e Asia, e i prezzi sono destinati a salire ulteriormente, trascinati anche dalla speculazione operata dai gruppi finanziari. Secondo i dati forniti dagli organismi internazionali, nel 2021 i prezzi del grano a livello mondiale sono aumentati del 135% rispetto alla media dei 5 anni precedenti. Nel pane e nella pasta che consumiamo sono racchiusi i tanti problemi che stiamo affrontando: cambiamenti climatici, pandemia, guerre, questione energetica, speculazione finanziaria. Sono due le varietà di frumento che vengono coltivate, grano duro (Triticum durum) e grano tenero (Triticum aestivum). Il grano duro ha spighe provviste di reste (la parte filamentosa) e il seme ha una forma più allungata. Tutte le varietà di grano moderno derivano da una pianta selvatica addomesticata 10 mila anni fa nella regione del Medio Oriente chiamata Mezzaluna fertile. La selezione dei semi ha portato alla creazione di un numero elevato di varietà in grado di adattarsi a diversi tipi di terreno e condizioni climatiche. I semi delle varietà invernali, piantati prima dell’arrivo dell’inverno, sono in grado di resistere al freddo e continuare il loro ciclo vitale all’arrivo della primavera, raggiungendo la maturazione all’inizio dell’estate. Sotto la neve, pane, è una espressione che si riferisce allo straordinario ciclo produttivo del grano. Le varietà primaverili, invece, hanno un ciclo più breve: seminate all’inizio della primavera, vengono raccolte in piena estate. Dalla produzione di grani duri si ricava la semola necessaria per la pastificazione, mentre i grani teneri sono destinati alla preparazione di farine per il pane, prodotti da forno, pasta fresca, pizza.

LE DUE VARIETA’, CHE HANNO PROPRIETA’ e caratteristiche organolettiche diverse, vengono anche miscelate per ottenere prodotti in cui sono valorizzati tutti i principi nutritivi. Il cambiamento delle abitudini alimentari e la crescente domanda di pasta a livello mondiale (negli ultimi 10 anni il consumo globale si è più che raddoppiato) hanno fatto aumentare la produzione di grano duro. Ma questa varietà ha bisogno di terreni asciutti e di un clima in cui l’umidità si mantiene bassa, con un regime delle piogge regolare. Sono condizioni che si verificano in aree relativamente ristrette del pianeta e questo porta ad una carenza produttiva dei grani duri.

LA GEOGRAFIA DEL GRANO MOSTRA CHE POCHI paesi detengono grandi quote produttive e dall’andamento della loro produzione dipende la possibilità di sfamare miliardi di persone. Nel 2021 la produzione mondiale di grano è stata di circa 750 milioni di tonnellate, pari al 35% della produzione cerealicola. Per il 90% si tratta di grano tenero e per il 10% di grano duro. La Cina è il principale produttore con 130 miliardi di tonnellate, seguita da India (100 Mt) e Russia (70 Mt). In Europa è la Francia con 35 Mt a detenere il primato produttivo. Altri importanti produttori sono Stati Uniti, Canada, Ucraina, Australia. Ma i fattori climatici modificano ogni anno le quote produttive di ciascun paese. La Russia da qualche anno è diventata il primo esportatore mondiale (oltre il 50% della sua produzione finisce all’estero). Gas e grano hanno sostenuto l’economia del paese. L’Italia si trova in ventesima posizione con una produzione complessiva tra grano duro e tenero di circa 7 milioni di tonnellate, del tutto insufficiente a soddisfare il fabbisogno interno. La riduzione delle superfici coltivate che si è registrata nel nostro paese a partire dagli anni ’70 ha determinato un forte calo produttivo nonostante l’aumento delle rese per ettaro. Per il grano tenero si è passati dai 7-8 milioni di tonnellate di 50 anni fa agli attuali 3 milioni, col risultato di doverne importare il 60% da Francia, Germania, Austria, Ungheria, Stati Uniti, Canada.

NON VA MEGLIO PER IL GRANO DURO. L’Italia pur producendone 3,8 milioni di tonnellate, il 50% di quanto prodotto in Europa, deve ricorrere all’estero per la materia prima della pasta nazionale. Siamo da anni il principale importatore mondiale di grano duro e il principale esportatore di pasta. La produzione di grano duro si concentra nelle regioni meridionali, soprattutto Puglia, Basilicata e Sicilia, che presentano le condizioni climatiche ideali per la maturazione di questa varietà, mentre il grano tenero viene coltivato nell’Italia centrale, Emilia Romagna e Pianura Padana. La riduzione delle superfici coltivate a grano, a favore di produzioni destinate all’allevamento animale, è un fenomeno che riguarda tutti i paesi ed è uno degli elementi che sta determinando gravi squilibri in campo alimentare e favorisce l’affermazione di un sistema di produzione e consumo insostenibile. L’esplosione produttiva di soia e mais, coltivazioni più redditizie, con un aumento considerevole delle superfici coltivate, ha finito per penalizzare la produzione di grano.

IN ITALIA MOLTE AREE COLLINARI che per secoli avevano visto le coltivazioni di grano, con varietà locali che si adattavano alle diverse condizioni ambientali e climatiche, sono state abbandonate. Nella fascia appenninica la produzione di grano entrava in rotazione con altre colture, consentendo di recuperare anche le aree marginali. L’agricoltura industriale, basata sulle rese, ha dissolto le produzioni locali. Resistono solo alcune comunità di agricoltori che cercano faticosamente di rilanciare la produzione dei grani antichi. L’uniformità produttiva e la perdita di biodiversità penalizzano fortemente le coltivazioni di grano. Si sono perse molte delle varietà ottenute attraverso un processo di selezione durato migliaia di anni da quando, all’inizio degli anni ’60, i contadini cominciarono a coltivare i semi prodotti industrialmente.

LA SICCITA’ E’ IL FATTORE CHE STA INCIDENDO maggiormente sulla produzione mondiale, con cali produttivi che in alcune aree del nord America (in particolare in Canada che è il primo esportatore di grano duro) hanno raggiunto il 40%. Le poche varietà che vengono coltivate non sono in grado di resistere allo stress termico e ai periodi di prolungata siccità. La risposta non può essere l’introduzione di varietà Ogm, come si sta tentando di fare in America latina, perché significherebbe consegnare completamente gli agricoltori alle multinazionali del seme. In questi giorni si parla molto dei problemi relativi all’approvvigionamento di gas, ma le incertezze riguardano anche il grano. E non è solo a rischio la pasta italiana. Sono le popolazioni dei paesi africani le più esposte agli sconvolgimenti produttivi del grano, perché dipendono completamente dall’estero. Le insurrezioni civili denominate «primavere arabe», che dalla fine del 2010 interessarono tutti i paesi del nord Africa, erano iniziate con le proteste per i prezzi elevati del grano e dei suoi derivati. Ora il problema si ripresenta. Cambiamenti climatici e guerre colpiscono la produzione di grano e l’insicurezza alimentare rischia di accentuarsi ulteriormente nella popolazione più povera del pianeta.