Cifre e principi costituzionali, così ci occuperemo dello spinoso capitolo intitolato alla “geografia giudiziaria” che cominciò con un decreto legge ed è finito in 14 ordinanze di rimessione alla Consulta. L’intento era magari apprezzabile, il risultato è decisamente opinabile.

I dati. Con un taglio di vertiginose misure, degne della riduzione delle gonne operata da Mary Quant, i decreti 155/156 del 7 settembre 2012 hanno “decurtato” i tribunali italiani da un totale di 2003 uffici a 1054 (fonte, webstat.giustizia.it). Nel dettaglio, sono rimaste invariate le corti d’appello, si sono ridotte le sezioni di tribunale da 166 a 135, le sezioni del giudice di pace da 846 a 179 e sono state soppresse 220 sezioni distaccate di tribunale. Una carneficina.

Naturalmente, c’è chi è d’accordo principalmente in nome del risparmio: affitti, personale, etc. Risparmio reale? Sul sito judicium.it, Gaia Pandolfi ha analizzato gli effetti della riforma attuata in Francia, durante la presidenza Sarkozy, impostata più o meno con gli stessi criteri. Ebbene, secondo la valutazione d’impatto condotta dal senato francese, invece di diminuire i tempi del contenzioso “hanno subito un degrado significativo, con un aumento medio del 10%, che in alcune giurisdizioni ha raggiunto il 20% (per il periodo 2009-2011, la media passa da 5,7 mesi a 6,3 mesi)”. In molti casi, l’accorpamento degli uffici ha costretto quelli sopravvissuti ad affittare nuovi immobili, “generando costi aggiuntivi di spesa”, ridimensionando “notevolmente le previsioni globali di risparmio”. In aggiunta, la riduzione ha provocato quello che molti francesi hanno definito “un deserto giudiziario”, ovvero la perdita della giustizia di prossimità.

Fin qui le cifre, e potremmo aggiungerne molte altre.

Ad opporsi energicamente alla revisione geografica attuata in definitiva dalla ministra Severino sono stati diversi soggetti, dal personale amministrativo ai sindacati. Sono però soprattutto gli avvocati ad avere ingaggiato una vera e propria battaglia in difesa degli articoli 3 (uguaglianza), 24 (diritto a un giudizio), 25 (giudice naturale), limitandoci alla prima parte della Costituzione.

Sono state sollevate eccezioni di legittimità dai tribunali di Alba, Montepulciano, Pinerolo, Sanremo, Sulmona e Sala Consilina, per citarne alcuni. E’ da quest’ultima sede che viene offerta una panoramica piuttosto disperante dei metodi e della sostanza con cui gli amministratori (in questo caso, i governi) italiani pensano di riformare il paese.

Sala Consilina è in provincia di Salerno, perciò in Campania. Ma la revisione della geografia giudiziaria l’ha accorpata a Lagonegro, che però è in provincia di Potenza, cioè in Basilicata. Ora, perché un cittadino di Sala Consilina deve chiedere giustizia amministrativa alla regione Campania e giustizia civile alla regione Basilicata? Ognuno di noi può immaginarsi le complicanze burocratiche di un tale pasticcio.

Non basta. Gli avvocati Di Paola e Gentile, che hanno sollevato l’eccezione, valutata dalla giudice Enrichetta Cioffi non manifestamente infondata e perciò inviata alla Consulta, fanno notare che – se il fine fosse davvero l’efficienza – non si capisce come mai si accorpa Sala Consilina, che ha già avviato il processo civile telematico, a Lagonegro che ne è sprovvista.

Infine, l’insipienza (o la furbata) tecnica: si è infilata la norma sui tribunali nel dibattito parlamentare su un decreto avente altro oggetto (norma intrusa) e si è invertita la sequenza prevista dalla Costituzione sul potere legislativo concesso al governo. Il 2 luglio, sapremo che cosa ne pensano gli alti giudici.