Dall’Italia hanno chiamato tutti per raccomandare Paolo Gentiloni per il posto di commissario all’economia nella commissione di Ursula von der Leyen. Tranne il papa. Se necessario, qualcuno tra Roma e Bruxelles avrebbe potuto chiedere anche l’intercessione al Vaticano per evitare una bocciatura all’ex premier italiano. O anche quello che è accaduto a Sylvie Goulard, candidata macroniana al mercato interno: rinviata all’esame dopo attacchi impietosi su un compenso da 10 mila euro al mese da una fondazione americana e la gestione di un collaboratore parlamentare.

NON È STATO QUESTO il caso di Gentiloni. La sua candidatura è passata a grande maggioranza. I no sono venuti da Identità e democrazia, gruppo di cui fa parte la Lega, e dalla sinistra della Gue. Né poteva esserlo, il caso: Gentiloni è il tassello d’oro di un mosaico che riporta al centro dell’Europa il paese politicamente più instabile ed è l’incarnazione della promessa astratta di un cambiamento delle regole all’insegna della continuità dei principi che le ispirano.

È il paradosso di una Commissione Ue che vorrebbe, ma ancora non sa, né può. Vorrebbe usare la spesa per investimenti, ma non sa né può dire se potrà essere scomputata dal calcolo del deficit, una delle regole fondamentali del patto di stabilità e crescita. Vorrebbe cambiare questo patto, incapace tanto di rilanciare la crescita quanto di garantire una stabilità nel continente devastato da asimmetrie economiche e diseguaglianze sociali. Ma non sa se, e quando, chi conta di più, il governo tedesco e i falchi nordici, approveranno le modifiche.

DI QUESTE INCERTEZZE Gentiloni ha dimostrato di essere più che consapevole. Con la consueta, flemmatica capacità di smussare gli angoli ha chiarito di non essere un commissario «italiano», ma un italiano che farà il commissario per tutta la Ue. Una precisazione utile più all’esterno. Perché all’interno Gentiloni resta il garante sia della stabilità del Conte 2, sia della flessibilità che la sua Commissione gli riconoscerà nella legge di bilancio. Sul lungo periodo Gentiloni non è stato in grado di dire se, e in che modo, la richiesta di un cambiamento del patto di stabilità potrà essere soddisfatta. Al contrario, ha precisato che tale patto «non è un carciofo da cui si tolgono le foglie. Non possiamo stabilire esenzioni in troppi campi». Si parla dell’ambiente e dei cospicui investimenti annunciati da von der Leyen. È probabile che sarà questo lo strumento per legittimare una modifica normativa. Opzione preferita dal neo-commissario che comprende, ma non condivide, chi come i rigoristi invece pensa che sia sufficiente interpretare in maniera meno letterale i principi.

L’OCCASIONE per impostare questo dibattito dai contorni ancora incerti arriverà alla fine dell’anno quando è prevista la revisione dei trattati Two pact e Sixth pact. A livello tecnico se ne discute da almeno un anno. Nel corso dell’audizione Gentiloni stesso ha fatto più volte riferimento a un parere espresso dal Consiglio europeo di bilancio che, su richiesta della Commissione Juncker, ha auspicato una riforma del patto di stabilità e crescita basato su un unico obiettivo: il debito pubblico sostenibile; un unico strumento; il controllo della crescita della spesa netta; una clausola di salvaguardia generale. In ogni caso si parla di «semplificazione», non del ripensamento di un modello economico che tiene prigioniera la stessa Commissione.

«Il messaggio è: chi ha spazio fiscale fa bene a usarlo» ha aggiunto Gentiloni. Il problema è per chi non ce l’ha, come l’Italia. È difficile che l’auspicata revisione del patto di stabilità possa permettere di usare uno spazio che al momento non c’è. Oltretutto nella prospettiva, nota qui a Bruxelles, di una crescita in «rallentamento». In Italia è a zero o quasi. Il 7 novembre sono attese le nuove stime a livello continentale. «Capiremo se il rallentamento durerà e come agire» ha detto Gentiloni che teme l’«effetto pro-ciclico» delle regole fiscali restrittive. Da qui nasce l’idea che l’esenzione degli investimenti green dal deficit possa produrre l’effetto «anti-ciclico».

SULLA LOTTA alla concorrenza fiscale tra stati membri (Irlanda o Olanda ad esempio), Gentiloni ha ipotizzato il ricorso a una norma «passerella» per prendere decisioni a maggioranza, e non all’unanimità come oggi. E ha promesso una web tax continentale se entro il 2020 non si raggiungerà un accordo nell’ambito dell’Ocse.

Lavori in corso anche sull’indennità europea di disoccupazione. È una delle sue competenze, ma tutta da costruire. Non è stato ancora deciso se consisterà in prestiti o in sostegni diretti ai bilanci nazionali. Per Gentiloni non dovrà contrastare con gli ammortizzatori sociali nazionali e dovrà essere «automatica» nei casi di «shock economici esterni». È un progetto abbozzato da quasi un quinquennio. Potrebbe essere condizionato al rispetto dei criteri di stabilità. Nulla a che vedere con un sostegno incondizionato contro l’impoverimento generalizzato. Succede quando la richiesta di giustizia scende a patti con l’aritmetica del realismo capitalista.