Un Gentiloni «catanese» che tenta di rilanciare l’azione di governo nei giorni difficili delle indagini Consip e delle lacerazioni nel Pd. Il premier si è recato in visita nel capoluogo etneo e lì ha spiegato che il suo esecutivo «ha una maggioranza solida» e «una serie di riforme da completare, decise dal governo di cui già facevo parte». Nelle stesse ore lo scontro a distanza tra Renzi e Grillo, ma dal Palazzo degli Elefanti – sede del municipio di Catania – i colpi di cannone sembrano attutiti, e Gentiloni anzi rivendica questa sua “alienazione”: «Mi rendo conto che in questi giorni io ogni tanto possa fare un po’ la parte del marziano, e mi rendo conto delle difficoltà che ci circondano, qualcuno mi ha attribuito la parola “turbolenze”, ma la mia non è una scelta, fa parte del mio dovere trasmettere a tutti i nostri concittadini l’idea che il governo si concentra sulla sua attività».

LA SFIDA SI GIOCA soprattutto sul piano economico, non solo riguardo alle emergenze povertà e occupazione, ma anche nella delicata partita con l’Europa: la manovra correttiva da 3,4 miliardi da presentare a Bruxelles entro aprile, con il Def, e subito dopo la riforma fiscale che sarebbe già in cantiere. Con tre pilastri: il taglio del cuneo a imprese e lavoratori, il recupero dell’evasione Iva e una nuova spending review.

«Non dobbiamo dimenticarci da dove veniamo – ha detto il presidente del consiglio – da 7-8 anni di crisi continuativi, durissimi sul piano sociale, e soltanto ultimamente grazie ai sacrifici degli italiani, alle imprese che esportano, al senso del dovere dei nostri lavoratori e all’impegno dei governi guidati da Renzi e da chi l’ha preceduto, ci siamo rimessi gradualmente in carreggiata. Ma le cicatrici di questi anni sono lì». Ed ecco le priorità indicate dal premier per i prossimi mesi: «Dalla tutela del risparmio alla sicurezza urbana, dall’immigrazione alla difesa, dal processo penale alla concorrenza, dalla povertà all’enorme incremento dei minori non accompagnati dei nostri flussi migratori».

OVVIAMENTE NON si parla di elezioni, non si nomina la legge elettorale, né Gentiloni si sogna mai di citare il referendum promosso dalla Cgil, che pure si dovrà tenere entro il 15 giugno e per il quale proprio il governo dovrebbe fissare una data. “Bucato” il consiglio dei ministri di venerdì scorso, una decisione si attende per la settimana ventura: d’altronde la città di Catania – come hanno scritto Cgil, Cisl e Uil in una lettera indirizzata al premier – «è martoriata dalla disoccupazione e dalla crisi». Come lo è d’altronde tutta la Sicilia: gli occupati tra i 20 e i 64 anni sono solo il 42%, la disoccupazione giovanile supera il 50% (quella femminile il 58%), i voucher nel 2015 sono aumentati del 97,4% (quasi il doppio rispetto al dato nazionale).

IL PRIMO SCOGLIO, già a vista, sarà appunto il Def, con la manovra correttiva del deficit: allo step dei 3,4 miliardi da reperire entro aprile, il governo dovrà mostrarsi credibile in Europa, così da evitare nuovi gravami che peserebbero sulla legge di Bilancio dopo l’estate. L’idea è quella di stringere sulla fatturazione elettronica anche nei rapporti tra imprese, così come avviene già per i fornitori dello Stato, e stanare tanti evasori dell’Iva: si potrebbero recuperare fino a 40 miliardi di euro nel biennio 2018-2020, anche se ovviamente l’esecutivo metterà a bilancio cifre più prudenziali.

Poi c’è il capitolo spending review, mai decollato realmente nonostante gli annunci e i commissari degli ultimi governi – seppure i tagli al pubblico non siano certo mancati – da centralizzare a Palazzo Chigi, con un sistema di report e controlli annuali, ed eventuali sanzioni in caso di mancanze.

INFINE IL TAGLIO al cuneo fiscale, la riforma che più d tutte potrebbe creare consensi: se si dovesse realmente realizzare in un 5% complessivo, come si ipotizza (2,5% a beneficio delle imprese e 2,5% pro netto dei lavoratori), si tradurrebbe in una sorta di nuovi 80 euro, ma più generalizzati e senza l’idea che si tratti di un nuovo bonus. Il nodo era già contenuto in effetti nel programma di Renzi, previsto proprio nel 2018, quindi con le elezioni alle porte (al più tardi appunto nella primavera 2018), sarebbe un bel toccasana per i partiti di maggioranza, in ultima analisi per un Pd in sofferenza.

IERI LA CGIA di Mestre ha diffuso uno studio sul cuneo fiscale: ai lavoratori prendono di netto poco più della metà di quel che costano all’impresa. Un operaio con un netto di 1.350 costa al titolare 2.357 euro: somma della retribuzione lorda (1.791 euro) e del prelievo contributivo (566 euro). Il cuneo fiscale (dato dalla differenza tra il costo per l’azienda e la retribuzione netta) è pari a 979 euro, cifra che incide sul costo del lavoro per il 41,5%. Un impiegato che guadagna 1700 euro costa invece all’impresa 3200 euro (cuneo 1503 euro, 46,8% sul costo del lavoro).