«Area popolare è assolutamente contraria all’abolizione dei voucher. Non ci si può far ricattare dalla Cgil». Di fronte ai cronisti il centrista (di destra) Maurizio Lupi fa la faccia cattiva. Esige che il presidente del Consiglio «si faccia garante della presentazione di un decreto che reintroduca elementi di flessibilità come ad esempio i voucher alla francese o i mini jobs alla tedesca», in caso contrario «il nostro voto su un decreto che riporta indietro di vent’anni il paese non ci sarà». Ma è una recita a soggetto. L’abrogazione dei voucher è un colpo basso, ma ieri al consiglio dei ministri il premier ha spiegato che non c’era scelta. «Vi chiedo di evitare di alimentare polemiche e ulteriori divisioni agli occhi degli italiani. Il paese non regge a un’altra campagna referendaria». Alfano non alza barricate. I ministri del Pd si convertono di botto: «È un bene aver tolto dal tavolo qualsiasi ambiguità che rischiava di portarci a settimane molto delicate», dice Maurizio Martina, nuovo braccio destro di Renzi. Meno elastico Andrea Orlando, altro (ex) antiabolizionista: «Quello sui voucher è un passo, avanti o indietro lo vediamo, è importante aver tolto la parte che precarizzava il lavoro». La verità è che dopo la scissione Renzi non ha scelta: deve recuperare consenso a sinistra. Impossibile se la campagna delle primarie si fosse svolta in contemporanea a quella referendaria. E ora prende le distanze dai voucher: «Noi li abbiamo già trovati». Ma come una doccia fredda arriva il disappunto di Romano Prodi: « Abolire completamente i voucher non mi sembra saggio: basta farli tornare al loro percorso originario, né più né meno».

LA SCONFITTA BRUCIA AL PARTITO di Alfano che ha sventolato le politiche sul lavoro di Renzi (con la ciliegina dell’abolizione dell’art.18) come una propria vittoria. Ora l’ex ministro Sacconi, padre del jobs act, è furibondo: «La promessa di sostituire i voucher con altre misure è falsa perché il governo si è messo nelle mani della Cgil che opporrà il suo veto a tutte le soluzioni possibili».

IL SORRISO DI SUSANNA CAMUSSO, leader della Cgil, quella che Renzi descriveva nell’atto di cercare di infilare «il gettone nell’Iphone», è il ribaltamento simbolico di tutta la stagione (cosiddetta) riformista renziana. L’attuale premier, che pure ha tutt’altro stile rispetto al predecessore, nei primi mesi di mandato aveva fatto una sola promessa: «Non aboliremo i voucher. Non sono il virus che semina il lavoro nero. Ma bisogna correggere gli abusi». Era il dicembre 2016, appena tre mesi fa.

OGGI ARRIVA IL BAGNO DI REALTÀ per il governo. Inutile logorarsi in una riforma che comunque non cancellerebbe il referendum. È presto per dirlo, ma da Palazzo Chigi un accordo di massima si intravede. Un decreto entro l’estate. I ’mini jobs’ alla tedesca potrebbero essere, spiegano a Palazzo Chigi, «un pezzo di una possibile soluzione, ma non ’la’ soluzione». Anche perché la soluzione univoca «ancora non c’è». E la Cgil vittoriosa avverte: non accetterà prese in giro.

AL NAZARENO l’imbarazzo per l’improvvisa retromarcia dopo la stagione delle fanfare è difficile da gestire. Mastica Male Debora Serracchiani: «Si apre un vuoto legislativo che va colmato al più presto». Ma è spiazzato anche Cesare Damiano, presidente della commissione lavoro di Montecitorio e titolare di una proposta di mediazione che ora si trova scavalcato a sinistra da Gentiloni: «Noi abbiamo fatto una valutazione basata sull’esperienza relativa all’utilizzo dei voucher e agli abusi. Il governo ha fatto una valutazione orientata al superamento dei referendum. Ma il decreto accoglie al 100 per cento le nostre richieste».

L’ESULTANZA DELLA SINISTRA variegata a sinistra del Pd complica il quadro. Gli ex bersaniani di casa demoprogressista – a differenza degli scissionisti ex Sel – si sono convertiti solo di recente al referendum ma vogliono aggiudicarsi il loro pezzetto di vittoria. Spiega Roberto Speranza a Omnibus (La7) «Noi l’avremmo lasciato come strumento per le famiglie. Il governo è andato oltre. Ma è solo un primo passo sulla strada della revisione di riforme economiche e sociali sbagliate». Sinistra italiana, a fianco della Cgil dall’inizio, sfotte il ministro Poletti: «Poiché in pratica un emendamento del nostro Giorgio Airaudo (deputato, ex Fiom, ndr), un ’estremista’», ironizza Nicola Fratoianni, «è diventato un decreto del governo, logica vorrebbe che Airaudo diventasse titolare di quel dicastero».