I valori dell’Occidente propugnati dal nostro presidente del consiglio uscente sono a geometria assai variabile. Al passo d’addio il nostro «cigno morente» si scaglia contro le armi chimiche, vere o presunte di Assad, ma dimostra di volere ignorare due o tre cose.

La prima è che le armi chimiche gli americani le usano da anni senza che nessuno dica una parola. Decine se non centinaia di militari italiani di
ritorno da missioni all’estero negli ultimi decenni si sono ammalati di tumore. Una patologia provocata da esposizioni all’uranio impoverito o al radon usato dagli Stati Uniti, un gas radioattivo completamente inodore che deriva sempre dallo stesso metallo.

Detto questo va bene punire Assad ma gli Stati Uniti no?

Hanno impiegato uranio impoverito in Kosovo, Bosnia e in Iraq (300 tonnellate di proiettili all’uranio impoverito furono riversati nella guerra del 1991 secondo l’Onu).

La seconda è che mentre giustamente ci scagliamo contro un regime spietato come quello siriano non abbiamo la stessa determinazione nel fermare i bombardamenti a tappeto dei sauditi in Yemen, diretti dagli stessi americani perché Riad da sola è incapace di fare qualunque cosa. In Yemen è in corso la peggiore crisi umanitaria del pianeta: 9 milioni di persone sono a rischio carestia e il Paese è praticamente disintegrato.

L’Arabia Saudita però è il primo acquirente di armamenti degli Stati Uniti, della Francia e della Gran Bretagna ma anche noi italiani siamo piazzati discretamente quanto a commesse militari. Anche se il Qatar – navi Fincantieri ed elicotteri Agusta – fa la parte del leone: uno sbilanciamento con Doha, dall’anno scorso nel mirino dei sauditi, che dobbiamo in qualche modo compensare.

Ce le racconta Gentiloni queste cose? La protezione dell’Arabia Saudita, con quella di Israele è uno dei due pilastri della politica estera americana, un accordo sancito dal patto del 1945 tra Roosevelt e Ibn Saud.

E noi siamo i vassalli di Washington, quindi autorizzati a vendere armi a Riad: essere membri della Nato serve ad ottenere questo prezioso lasciapassare, altro che valori occidentali.

La guerra civile in Yemen è cominciata molto prima delle primavere arabe perché già nel 2008-2009 vidi l’aviazione saudita bombardare i ribelli Houthi nel Nord dello Yemen: ma di quello che accadeva tra quelle montagne scoscese e i deserti pietrosi yemeniti non importava a nessuno e allora l’ex presidente Saleh (poi fatto fuori dagli stessi ribelli) era alleato con i sauditi che tenevano in piedi il bilancio di Sanaa.

L’ipocrisia dei leader europei non ha confini.

Macron è arrivato persino a dire che il suo intervento in Siria con quello americano e britannico «ha salvato l’onore dell’Europa». Per la verità gli occidentali hanno salvato la faccia dopo avere perso la guerra in Siria dove Russia e Iran sono riusciti a tenere in piedi il regime di Bashar al Assad.

Adesso inizierà probabilmente un nuovo capitolo con lo scontro tra Iran e Israele, perché questo è il fondo reale della guerra per procura siriana.

Ma forse il presidente francese non è informato che decine di migliaia di combattenti sono affluiti sull’«autostrada del Jihad» aperta dalla Turchia verso la Siria con l’assenso di Usa, Francia e monarchie del Golfo. Allora perché adesso Parigi chiede a Damasco, tramite Teheran, la lista dei jihadisti francesi?

Gli occidentali pensavano di abbattere il regime in pochi mesi come avevano fatto con Gheddafi nel 2011, un intervento voluto proprio dalla Francia di Sarkozy: i raid in Siria sono stati condotti per mascherare questi calcoli sbagliati e hanno poco a che vedere con i risvolti umanitari: le armi chimiche sono un pretesto.

Un reportage sull’Independent di Robert Fisk – mentre sono in arrivo a Douma gli ispettori internazionali dell’Opac (pdf qui) – smentisce la narrativa di un attacco chimico di cui aspettiamo ancora le prove.

Il giudizio, se mai ne avremo uno definitivo, per il momento è sospeso.

I valori dell’Occidente, cui si aggrappano i Macron e i Gentiloni, erano già affondati qualche settimana fa nel Nord della Siria quando gli Usa e la Francia hanno lasciato massacrare i curdi siriani da Erdogan. Non erano forse

i curdi i maggiori alleati degli occidentali nella lotta alla barbarie del Califfato? Quelli di Kobane qui erano stati celebrati come eroi. Ma la Turchia, Paese con migliaia di prigionieri politici, è un membro della Nato che la guerra siriana ha «regalato» a Putin, quello che adesso taglia le fette di torta e procede alla sua balcanizzazione.

Ma di cosa stanno parlando qui in Europa?

A Erdogan non si può dire nulla perché è il custode ben pagato dall’Unione di tre milioni di profughi siriani che cercherà di usare al momento opportuno per dire la sua qui da noi e in Siria.

Prepariamoci nel futuro prossimo a una nuova ondata retorica di scintillanti «valori occidentali» da difendere quando si affronterà il caso Iran, la vera posta in gioco del conflitto: finora abbiamo obbedito a Trump e alla Nato, domani forse ci tocca Netanyahu.