Difesa di quanto l’Italia sta facendo in Libia per fermare i flussi dei migranti e la proposta – sull’impronta di quanto già fatto dall’ex segretario Ban Ki-Moon – di un migration compact globale che coinvolga gli Stati in una gestione comune della crisi dei migranti e dei profughi. Sono due degli argomenti che il premier italiano Paolo Gentiloni tratterà domani mattina a New York nel corso del suo intervento alla 72esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite convocata per discutere delle principali aree di crisi – Libia, Siria e Yemen – cambiamenti climatici, sviluppo sostenibile, migrazioni e diritti umani.

Gentiloni affronterà la crisi libica sia dal punto di vista del conflitto interno al Paese nordafricano (ancora ieri il ministro degli Esteri Angelino Alfano ha chiesto che ci sia un solo soggetto a mediare tra le parti e che questo sia l’Onu) che per quanto riguarda i migranti. Terreno scivoloso, quest’ultimo, perché proprio dalle Nazioni unite non sono mancate critiche ad alcune delle iniziative adottate dal governo italiano e dall’Unione europea per ridurre i flussi verso l’Europa. I giudizi hanno riguardato gli accordi siglati con il governo di accordo nazionale guidato dal premier Fayez al Serraj, i metodi utilizzati dalla Guardia costiera libica per fermare e riportare indietro i barconi carichi di migranti ma, soprattutto, le condizioni inumane dei centri di detenzione nei quali uomini, donne e bambini vengono rinchiusi nel paese nordafricano e documentate dalle denunce di numerose organizzazioni internazionali, a partire dalla stessa Unhcr. «Riportare le persone in centri di detenzione in cui vengono trattenute e torturate è una chiara violazione del principio di non respingimento previsto dal diritto internazionale», ha detto pochi giorni fa l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Radd al Hussein.

Gentiloni ha il compito di rovesciare questo giudizio sollecitando il ritorno dell’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, nel paese nordafricano (cosa che però dipende da Tripoli) e garantendo l’impegno del governo a fare in modo che i centri di detenzione vengano affidati in futuro alle stesse agenzie Onu, Unhcr e Oim, che avranno il compito di gestire sia i rimpatri volontari che l’esame delle richieste di asilo di quanti hanno diritto ad essere trasferiti in Europa.

C’è poi la proposta di un migration compact globale. 65,6 milioni di persone al mondo nel 2016 sono state costrette ad abbandonare la propria casa a causa di guerre, violenze, miseria e cambiamenti climatici (dato Unhcr), 300 mila in più rispetto al 2015. Esattamente un anno fa fu l’allora segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon a proporre che ognuno dei 193 Stati aderenti all’Onu si facesse carico ogni anno del 10% dei profughi e dei migranti. «Un’occasione storica per concordare un patto globale e un impegno a un’azione comune», spiegò. Non se ne fece nulla, ma Gentiloni non ha mai nascosto il suo interesse per quel progetto, al punto da parlarne a luglio durante il G20 di Amburgo. «Siamo tutti consapevoli – disse in quell’occasione – della differenza giuridica tra rifugiati e migranti economici. Ma questi sono oltre l’85% degli arrivi e quindi gestire e contenere i flussi è e sarà sempre più una sfida europea e globale».

Le difficoltà, come al solito non mancano. L’Unione europa ad esempio ha promesso all’italiano Filippo Grandi, Alto commissario Onu per i rifugiati, di accogliere 40 mila richiedenti asilo, ma l’Austria (dove si vota tra un mese e l’immigrazione è al centro della campagna elettorale) ha già detto di no. Domani Gentiloni riproverà ad estendere l’invito ad accogliere migranti. Ad ascoltarlo, tra gli altri leader, ci sarà anche il presidente Usa Donald Trump, che però sugli immigrati ha già detto chiaramente come la pensa.