Le valigie della delegazione egiziana sono già pronte, e il dossier investigativo di duemila pagine (si spera tradotto) redatto dagli inquirenti cairoti sull’omicidio di Giulio Regeni già confezionato, quando il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sale nel luogo più solenne del Paese per scandire il messaggio italiano all’alleato egiziano. E lo ripete davanti ai senatori prima e ai deputati poi: se nell’incontro tra procure che si terrà a Roma domani e dopodomani «non ci sarà un cambio di marcia, il governo è pronto ad adottare le misure adeguate e necessarie, e il Parlamento ne sarà tempestivamente informato».

L’«amico» Al Sisi probabilmente non se lo aspettava: sono parole che «complicano la situazione – commenta immediatamente il portavoce del ministero degli Esteri del Cairo, Ahmed Abu Zeid – soprattutto perché rilasciate un giorno prima dell’arrivo del team di investigatori egiziani in Italia per informare la parte italiana su tutti gli sviluppi delle indagini». Matteo Renzi infatti non sarebbe stato così chiaro, anche se nel consueto botta e risposta con gli internauti è costretto a ribadire: «Speriamo e pensiamo che l’Egitto possa collaborare con i nostri magistrati. Vogliamo, vogliamo, vogliamo che questa verità sia trovata».

Abd al-Fattah al Sisi risponde a stretto giro dall’Assemblea parlamentare della Nato in corso al Cairo: «Stiamo cercando di rassicurare la parte italiana della piena collaborazione dell’Egitto». Come a dire: stai sereno, Matteo.

 

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Gentiloni invece cerca il consenso politico in un Parlamento che vorrebbe facesse «sentire la sua voce unitaria» ma che invece si svuota nei banchi dell’opposizione, con molti dei senatori pentastellati, di Fi, Idea, Cor e Ala che lasciano l’Aula durante il suo discorso. «È per ragione di Stato che pretendiamo la verità, è per ragione di Stato – insiste il ministro – che non accetteremo verità fabbricate ad arte, è per ragione di Stato che non ci rassegneremo all’oblio su questa vicenda, ed è per ragione di Stato che non consentiremo che venga calpestata la dignità del nostro Paese». Dignità che è rappresentata soprattutto da quella famiglia Regeni che, come dice Renzi, «ha dato una gigantesca lezione al mondo», da quella madre che ha visto sul volto di suo figlio «tutto il male del mondo».

La collaborazione assicurata dal generale golpista in prima persona finora non c’è stata, Gentiloni lo dice chiaramente. C’è stato invece un «accavallarsi di posizioni ufficiali o semiufficiali». E perfino dopo la visita del procuratore capo di Roma Pignatone al Cairo, il governo di Al Sisi ha tentato, il 24 marzo, di servire l’ultimo depistaggio su un vassoio d’argento, insieme ai documenti di Regeni, al «nostro team di investigatori convocati»: «Un ulteriore e ancora più grave tentativo di accreditare una realtà di comodo».

A quel punto, ricorda Gentiloni, «la famiglia ha reagito con forza». Non lo ammette, il ministro, ma ogni maschera è caduta grazie proprio al dolore lucido dei genitori di Giulio. «Abbiamo preso atto positivamente» del chiarimento delle autorità cairote «che le indagini proseguivano», e «registriamo che il più importante quotidiano egiziano chiede allo Stato di individuare e punire i responsabili dell’omicidio».

A questo punto diventa «decisivo», sottolinea Gentiloni, l’incontro che si terrà da domani a Roma tra la squadra di investigatori italiani e quella egiziana, guidata dal procuratore generale aggiunto Mostafa Soliman, che oggi parte dal Cairo. Riferisce il ministro, che il dossier di 91 pagine – in arabo – consegnato il 2 marzo dalle autorità egiziane «era carente e mancava di almeno due dei cinque capitoli richiesti, in particolare quelli sul traffico del cellulare di Regeni e delle immagini della metropolitana del Cairo, nei pressi della quale potrebbe essere avvenuto il sequestro del nostro connazionale».

Ora, aggiunge, «intendiamo acquisire la documentazione mancante, intendiamo evitare di accreditare verità distorte o di comodo, e capire chi fossero i responsabili della probabile messa in osservazione di Giulio Regeni prima della sua scomparsa. Intendiamo chiedere un ruolo più attivo degli investigatori. Sarà la procura di Roma a valutare se questa piena collaborazione sarà possibile».

L’elenco dei documenti mancanti richiesti da tempo dai magistrati italiani è lungo, ma soprattutto il regime di Al Sisi dovrà spiegare come mai i documenti di Giulio sono riapparsi nel covo di una supposta banda di criminali sterminati per essere trasformati nel colpevole perfetto. «Ci fermeremo solo quando troveremo la verità, quella vera e non di comodo», ha promesso Gentiloni. Agli italiani e agli egiziani.