Antonio Gentile resiste tutto il giorno. Punta i piedi con il suo partito, l’Ncd di Angelino Alfano, ma anche i “cugini” popolari di Mario Mauro a fare muro intorno a lui. Poi, a sera, getta la spugna e invia la lettera di dimissioni da sottosegretario ai Trasporti in tre copie: al segretario del suo partito, a Matteo Renzi e a Giorgio Napolitano: «Torno a fare politica nelle istituzioni e nella mia regione, aspettando che la magistratura, con i suoi tempi che mi auguro siano i più brevi possibile, smentisca definitivamente le illazioni gratuite di cui sono vittima».

E’ la stessa linea di difesa che Gentile, spalleggiato da tutti i centristi, aveva tenuto sin dal primo momento e confermato a più riprese ieri. Gentile aveva negato ogni addebito, in particolare l’accusa di aver bloccato le rotative del quotidiano L’Ora della Calabria per impedire che fosse pubblicata la notizia dell’iscrizione del figlio sul registro degli indagati e si era trincerato dietro un’argomentazione all’apparenza inoppugnabile: l’assenza di atti giudiziari a suo carico, confermata anche ieri dal procuratore di Cosenza Dario Granieri: «Gentile non è indagato per le pressioni sul quotidiano L’Ora». Atti che, invece, esistono a carico della sottosegretaria alla Cultura Francesca Barracciu, del Pd, come non aveva mancato di sottolineare per l’Ncd Maurizio Sacconi: «Sul senatore Gentile non c’è nulla. Né in termini di fatto né in termini di diritto. Su altri sottosegretari sono invece in corso indagini giudizarie». Renzi, dunque, non avrebbe in nessun caso potuto prendere posizione aperta a favore delle dimissioni del centrista senza sacrificare anche Barracciu, franceschiniana di stretta osservanza e dunque necessaria per blindare l’alleanza che ha portato in dote al baby presidente del consiglio prima il Pd e poi palazzo Chigi. La sola via d’uscita era “convincere” Gentile a rassegnare dimissioni almeno formalmente decise da solo e in piena autonomia.

Missione difficile, che sino alla serata di ieri sembrava destinata a fallire e che invece, a sorpresa, è riuscita, sollevando Renzi dal peso di una situazione destinata altrimenti a diventare più che imbarazzante: il M5S aveva già approntato la mozione di sfiducia da presentare sia alla Camera che al Senato. Sel si muoveva nella stessa direzione. Il Pd calabrese non sentiva ragioni («Sono stato ieri in Calabria e ho capito che questa persona il Pd della regione proprio non riesce a digerirla», raccontava il sindaco di Bari Emiliano), ma anche al centro si moltiplicavano le pressioni per le dimissioni, da Rosy Bindi a Nicola Latorre a Corradino Mineo, civatiano, pronto a votare la mozione di sfiducia anche a costo di venire espulso dal partito.

E’ probabile che tra le argomentazioni adoperate da Renzi per convincere i centristi della sua maggioranza a mollare Gentile ci sia stata anche la necessità di evitare il moltiplicarsi di tensioni alla vigilia della prova più difficile per la maggioranza stessa, il voto della Camera sulla legge elettorale. A chiedere le dimissioni del sottosegretario calabrese c’era infatti in prima fila proprio quella minoranza del Pd su cui conta Alfano per imporre l’emendamento Lauricella, l’obbligo cioè di subordinare l’entrata in vigore della nuova legge al completamento della riforma istituzionale che dovrebbe eliminare il Senato. Il passaggio di quella norma comporterebbe di fatto la rottura del patto tra Renzi e Berlusconi. Per Alfano tenersi buono Gentile, signore dei consensi a Cosenza, era importante, ma lasciare aperta la porta per la cancellazione del patto con Berlusconi su legge elettorale e riforme lo è molto di più.

In effetti, nelle trattative di ieri con Denis Verdini e forse anche con Gianni Letta, Renzi si è speso molto, ma inutilmente, per convincere i forzisti ad accettare una mediazione che desse ampia soddisfazione al leader di Ncd. E per la prima volta gli Azzurri hanno comunicato a Berlusconi la sensazione che il premier «pendesse dalla parte di Alfano». Impossibile non ipotizzare che il tavolo sul caso Gentile e quello sulla legge elettorale non si siano intrecciati. Di certo la «volontaria» uscita di scena del sottosegretario calabrese ha reso la missione dei centristi se non proprio facile, meno difficile di prima.